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rilevanza penale del fatto può essere condotto d’ufficio da questa Corte, poiché la
valutazione circa l’esistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato richiede
un’indagine tipicamente fattuale, che esula dai limiti del sindacato devoluto a questa Corte.
Conseguentemente, sono da dichiararsi inammissibili ai sensi dell’art. 372 c.p.c. i
documenti prodotti dal ricorrente unitamente alla memoria difensiva, relativi ad atti del
procedimento penale avviato nei confronti del Pinto (decreto penale di condanna e verbali
di interrogatorio), poiché essi non riguardano la nullità della sentenza impugnata né
l’ammissibilità del ricorso o del controricorso.
2.
– Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza per “violazione e falsa
applicazione dell’art. 2119 c. c., dell’art. 5 legge n. 604/1966, dell’art. 2697 c. c., dell’art. 7
legge n.300/ 1970 e dell’art. 18, comma quattro, legge n. 300/1970 in relazione all’art. 360
comma primo n. 3) per non essersi assolto all’onere probatorio gravante in capo al datore
di lavoro giustificativo del comminato licenziamento. Erronea e carente valutazione delle
risultanze probatorie in relazione all’art. 360 comma primo n. 5), per essersi erroneamente
valutate ed interpretate le acquisizioni probatorie agli atti di causa”.
2.1.
– Il motivo è inammissibile sotto il profilo della violazione di legge, dal momento che il
ricorrente non indica quale affermazione della Corte territoriale si pone in violazione delle
norme indicate. Ed invero il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex
art. 360, n. 3, c.p.c., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la
disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con la indicazione delle norme
assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni
intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate
affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con
le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita
dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di
adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata
violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di “errori di diritto”
individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente
violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del
merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, (cfr. Cass., 8 marzo
2007,
n.
5353;
Cass.,
19
gennaio
2005,
n.
1063; Cass., 6 aprile 2006, n. 8106; Cass., 26 giugno 2013, n. 16038; 1 dicembre 2014, n.
25419).
2.2.
– Sotto il profilo del vizio di motivazione deve rilevarsi che, nel regime del nuovo art.
360, comma I’, n. 5 c.p.c. (applicabile ratione temporis alla sentenza in esame, in quanto
pubblicata dopo il 30° giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge 7 agosto
2012, n. 134), valgono i principi espressi dalle Sezioni unite di questa Corte, che con la
sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, hanno affermato che “L’art. 360, primo comma, n. 5,
cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d. l. 22 giugno 2012, n. 83,
legge 7
agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
cassazione, relativo all’ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che,
nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo
comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico” il cui esame sia
stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il
“quando” tale atto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per
sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa,
sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie “.