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retribuzione in assenza della prestazione lavorativa. Per questa ragione ritennero non fondato
l’orientamento che riconosceva tutte le retribuzioni pregresse per i periodi non lavorati, ed invece fondato
quello che le riconosceva, ma solo a condizione ed a far tempo da un eventuale atto di messa a
disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore. Queste conclusioni hanno guidato la
giurisprudenza dei decenni successivi.
Le Sezioni unite si espressero anche sui “periodi lavorati” e precisarono che l’unificazione del rapporto di
lavoro “comporta, a prescindere dalle eventuali spettanze, nei limiti anzidetti, per gli intervalli non
lavorati, un ricalcolo delle spettanze per i periodi lavorati una volta considerati inseriti nell’unico rapporto
di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente applicazione degli istituti propri di questo quali, ad
esempio, gli aumenti di anzianita’, la misura del periodo di comporto, la misura del periodo di preavviso,
e determina comunque sicuri vantaggi per il lavoratore … quali l’acquisizione della corrispondente
anzianita’, quanto meno per sommatoria dei periodi lavorati”.
Il quadro regolativo e’ cambiato con la Legge n. 183 del 2010, ma come si vedra’, il cambiamento
riguarda solo i periodi non lavorati.
L’articolo 32, comma 5, cosi’ si esprime: “nei casi di conversione del contratto a tempo indeterminato, il
giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore, stabilendo un’indennita’
onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita’ dell’ultima
retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo
8?.
L’articolo 1, comma 13, della legge n. 92 del 2012, ha sancito che detta norma “si interpreta nel senso che
l’indennita’ ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze
retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del
provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro”.
Dalla norma si desume che l’indennita’ e’ volta al “risarcimento” del lavoratore. Quindi concerne un
danno subito dal lavoratore e cioe’ il danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a
termine illegittimo, un danno da mancato lavoro.
La norma di interpretazione autentica afferma che l’indennita’ “ristora un pregiudizio” ribadendo, ancor
piu’ esplicitamente, che e’ correlata ad un danno, un pregiudizio, derivante dalla perdita del lavoro e che
essa onnicomprensiva perche’ ristora per intero le “conseguenze” retributive e contributive di quel danno
da mancato lavoro. Quindi tutti i danni sul piano retributivo e contributivo che sono conseguenza, cioe’
sono legati da un nesso di causalita’ con la perdita del lavoro.
Se l’indennita’ serve a risarcire le conseguenze retributive e contributive del danno da mancato lavoro e’
evidente che il legislatore considera solo i periodi di non lavoro ai fini di tale risarcimento. Ed infatti
esclude dal computo il periodo sino alla scadenza del termine, che e’ periodo di lavoro, in cui il lavoratore
e’ stato retribuito e quindi non ha subito, ne’ puo’ subire conseguenze negative sul piano retributivo o
contributivo. In tale periodo la retribuzione e’ dovuta e detto periodo si computa ai fini degli effetti
riflessi e dell’anzianita’ di servizio. L’anzianita’ di servizio maturata in questo periodo lavorato, vale a
tutti gli effetti. Rileva persino per la quantificazione della indennita’ volta a risarcire il danno derivante
dalla perdita del lavoro, perche’ e’ uno dei criteri indicati dalla Legge n. 604 del 1966, articolo 8
richiamati dalla Legge n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5.
Il problema oggetto della presente controversia deriva dal fatto che il datore di lavoro ha stipulato con il
lavoratore non un unico contratto a termine, ma una serie di contratti a termine. Il legislatore non ha
espressamente considerato questo caso, ma l’interpretazione logico-sistematica della norma impone di
ritenere che, se e’ estraneo al risarcimento il periodo del primo contratto a termine, lo saranno anche i
periodi lavorati in successivi contratti a tempo determinato.
Sarebbe assurdo affermare che per questi periodi la retribuzione non spetti e sia assorbita nella indennita’,
ma e’ parimenti contrario alla logica della norma ritenere che questi periodi di lavoro e’ come se non
fossero stati effettuati e non rilevino ai fini dell’anzianita’ di servizio e delle sue implicazioni
economiche. Questi periodi non possono non avere lo stesso trattamento giuridico del periodo di lavoro
per il primo contratto a termine in quanto, al pari del primo, sono estranei al danno determinato dal non
lavoro, quindi estranei alla indennita’ prevista dal legislatore per risarcire le conseguenze retributive e