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E’ del tutto evidente che laddove il pubblico ministero non partecipi, come nel caso di specie, all’udienza
pubblica, non vi e’ alcuno spazio per le “note di udienza” che, a norma dell’articolo 379 c.p.c., in sede di
discussione davanti alla Corte di cassazione sono consentite alle parti solo per replicare alle conclusioni
assunte dal P.M. in udienza.
Tali note, dunque, vanno considerate irricevibili.
2. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della Legge n. 183 del 2010, articolo 32,
comma 5, della Legge n. 92 del 2012, articolo 1, comma 13, nonche’ violazione della Legge n. 230 del
1962, articolo 5 e Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 6 della clausola 4 dell’accordo quadro sul
lavoro a tempo determinate del 18/3/1999 contenuto in allegato alla direttiva del Consiglio delle
Comunita’ Europee 1999/70/CE relative all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP e violazione degli
articoli 3 e 117 Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Rileva la ricorrente che la decisione della
Corte territoriale e’ in palese contrasto con il principio di parita’ di trattamento tra lavoratori a tempo
determinato e lavoratori a tempo indeterminato. Evidenzia che l’onnicomprensivita’ dell’indennita’ di cui
alla Legge n. 183 del 2010, articolo 32 come pure interpretata dalla Legge n. 92 del 2012, articolo 1,
comma 13, non puo’ che riferirsi ai soli periodi non lavorati che vanno dalla scadenza del termine alla
sentenza che ricostituisce il rapporto e non anche a quelli lavorati.
3. Con il secondo motivo si deduce la violazione del Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, in
relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, omessa o insufficiente motivazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5 e
violazione degli articoli 112, 132 e 279 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, ed
all’articolo 161 c.p.c.. Si duole della conferma liquidazione delle competenze legali relative al giudizio di
primo grado come operata dal Tribunale (complessivi euro 1.800,00 di cui euro 1.000,00 per onorari ed
euro 800,00 per diritti) che aveva formato oggetto di specifico motivo di gravame ed in particolare della
valutazione della controversia quale “controversia seriale”.
4. Il primo motivo e’ fondato.
La Legge n. 183 del 2010, articolo 32 ha modificato il regime della tutela del lavoratore assunto con un
contratto a termine illegittimo.
Il precedente assetto era cosi’ organizzato: nel caso in cui si accertasse l’illegittimita’ del termine, il
giudice doveva ordinare la riammissione in servizio del lavoratore, con conseguente diritto a percepire le
retribuzioni anche qualora il datore di lavoro non consentisse la ripresa del lavoro. Questa prima
fondamentale conseguenza e’ rimasta immutata. Anche dopo la Legge n. 183 del 2010 e la legge di
interpretazione autentica, la sentenza che accerta l’illegittimita’ del termine converte il contratto a termine
in contratto a tempo indeterminato e dispone la riammissione del lavoratore in servizio. Da quel momento
il lavoratore avra’ diritto a percepire le retribuzioni tanto se il datore di lavoro adempie, quanto se non
adempie (in questo secondo caso a titolo di risarcimento del danno commisurato al pregiudizio
economico derivante dal rifiuto di assunzione: cfr. Cass. 11 aprile 2013, n. 8851; ma v. anche Corte cost.
30 luglio 2014, n. 226).
Con riferimento, invece, al periodo che precede la sentenza, il quadro e’ parzialmente cambiato.
Nel regime previgente mancava una norma che regolasse specificamente questo profilo e la
regolamentazione venne delineata in base ai principi generali del diritto civile e del lavoro. Fondamentale
fu la sentenza delle Sezioni unite 5 marzo 1991, n. 2334, che risolse il contrasto tra due orientamenti:
quello che riteneva che al lavoratore spettassero tutte le retribuzioni pregresse e quello che invece riteneva
che il lavoratore avesse diritto alle retribuzioni pregresse solo se e a decorrere dal momento in cui avesse
messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative.
E’ bene ricordare che la diversita’ dei due orientamenti concerneva il diritto alla retribuzione per gli
intervalli non lavorati tra un contratto a termine e l’altro, in caso di sequenza di contratti a termine,
mentre nessuna delle sentenze in conflitto negava che spettasse la retribuzione per i periodi di lavoro
effettuati nella sequenza di contratti a termine.
Le Sezioni unite ritennero che il problema concernente i periodi “non lavorati”, non trovasse soluzione in
una norma specifica, come invece avveniva nella materia affine ma non identica dei licenziamenti
illegittimi con l’articolo 18 St. lav., e dovesse quindi essere risolto in base ai principi generali
dell’ordinamento. Affermarono che il principio regolatore della materia, data la natura sinallagmatica del
rapporto di lavoro, fosse quello della corrispettivita’ tra lavoro e retribuzione e che non potesse esservi