a quella obbligatoria. Un passaggio fondamentale è costituito dalla riforma pensionistica del 1992-
1993, articolata in una legge delega e una pluralità di decreti legislativi.
12. La legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 ristrutturò il sistema previdenziale dei lavoratori
dipendenti privati e pubblici allo scopo, espressamente enunciato, di stabilizzare il rapporto tra
spesa previdenziale e prodotto interno lordo e di perseguire le finalità dell'art. 38 della Costituzione.
Fissò una serie di principi e criteri direttivi per garantire "trattamenti pensionistici obbligatori
omogenei" e "favorire la costituzione, su base volontaria, collettiva o individuale, di forme di
previdenza per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari".
13. Con riferimento alla previdenza complementare, la lett. v, dell'art. 3, comma 1, delegò il
governo alla previsione di "più elevati livelli di copertura previdenziale", disciplinando h
costituzione, la gestione e la vigilanza di forme di previdenza per l'erogazione di trattamenti
pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico.
14. Seguirono i decreti legislativi. Il d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, si occupò della previdenza
complementare. Ribadita la finalità di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale,
disciplinò il campo di applicazione, i destinatati, le fonti istitutive delle forme pensionistiche
complementari, la natura giuridica dei Fondi pensione, la composizione dei relativi organi di
gestione e di controllo, le prestazioni, i finanziamenti, il trattamento tributario di contributi e
prestazioni, funzioni e compiti della commissione di vigilanza. L'art. 10, si occupò della situazione
del lavoratore che avesse perso i requisiti per la partecipazione al fondo senza aver ancora maturato
il diritto alla pensione complementare. La norma dispone quanto segue: "lo statuto del fondo
pensione deve consentire le seguenti opzioni stabilendone misure, modalità e termini per l'esercizio:
a) il trasferimento presso altro fondo pensione complementare, cui il lavoratore acceda in relazione
alla nuova attività; b) il trasferimento ad uno dei fondi di cui all'art. 9 (fondi pensione aperti); c) il
riscatto della posizione individuale". Il secondo comma aggiunge: gli aderenti ai fondi pensione di
cui all'art. 9 possono trasferire la posizione individuale corrispondente a quella indicata alla lettera
a) del comma 1 presso il fondo cui il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività. Il terzo
comma specifica: gli adempimenti a carico del fondo pensione conseguenti all'esercizio delle
opzioni di cui ai commi 1 e 2 debbono essere effettuati entro il termine di sei mesi dall'esercizio
dell'opzione.
15.La posizione del ricorrente rientra in questa norma: egli si è dimesso dalla Banca di cui era
dipendente quando non aveva ancora maturato il diritto alla pensione complementare ed ha chiesto
il trasferimento dei suoi contributi ad un altro fondo. Il fondo convenuto in giudizio ha trasferito i
contributi versati dal dipendente, ma non quelli versati dal datore di lavoro, di qui la controversia.
16. Come si è visto, Tribunale e Corte d'appello di Roma hanno rigettato la domanda per quattro
ragioni. La prima fa riferimento allo statuto del fondo, il quale, in caso di cessazione dal servizio
senza aver maturato il diritto alla pensione, prevede all'art. 13 che il lavoratore "ha diritto ad una
somma pari al totale dei contributi pagati dallo stesso" ed all'art. 14 aggiunge che il dipendente, "in
alternativa alla percezione diretta del capitale", può chiedere "il trasferimento presso altro regime di
previdenza complementare". La seconda è che i contributi non sono trasferibili perché non hanno
natura retributiva, ma previdenziale. La terza è che l'art. 10 non avrebbe immediata efficacia
precettiva. La quarta si appella alla tesi sostenuta da Cass. n. 6043 e 7595 del 2008 per cui la
previsione dell’art. 10 non si applica quando il fondo preesistente sia un fondo a ripartizione.
17. Il ricorso, sebbene articolato in due motivi, censura tutte e quattro queste affermazioni.
18. Seguendo l'ordine logico dei problemi, e lasciando per ultimo quello che è oggetto di contrasto
nella giurisprudenza di legittimità, deve in primo luogo rilevarsi l'inconsistenza della tesi per cui
l'art. 10 non si applicherebbe alla forme pensionistiche preesistenti.
19. Il decreto legislativo è munito di una norma finale, l'art. 18, che esclude l'applicazione di alcune
previsioni del decreto alle forme pensionistiche complementari che risultano istituite alla data di
entrata in vigore della legge delega. Tra le previsioni analiticamente indicate non vi è l'art. 10.
Pertanto, ragionando "a contrario" deve ritenersi che, non essendo stata tale norma specificamente
esclusa dall'applicazione alle forme pensionistiche complementari già istituite, essa si applichi ai