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Un’importante sentenza della Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (n. 20292 del 4
ottobre 2011) sancisce e chiarisce alcuni aspetti in materia di responsabilità della Banca in
caso di pagamento di un assegno falso tratto su conto corrente.
Nella fattispecie, la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un correntista che aveva richiesto il
risarcimento del danno conseguente all’incasso di assegno falsificato tratto sul proprio conto.
Il cliente della Banca, nel ricorso avanzato presso la Corte di Cassazione, sosteneva che in relazione
all’incasso di somme ingenti – come nel caso dell’assegno oggetto della richiesta di risarcimento (assegno
di 227 milioni di vecchie lire) – non è sufficiente operare adottando una diligenza media. Al contrario –
evidenziava il correntista – il carattere più o meno riconoscibile della falsificazione della firma va desunta
dal raffronto fra la sottoscrizione apposta sul titolo e la firma depositata dal cliente presso la Banca, in
occasione dell’apertura del conto corrente.
Per i Giudici della Corte di Cassazione le motivazioni addotte dal ricorrente sono da ritenersi prive di
fondamento. La Banca, infatti, “può essere ritenuta responsabile del pagamento di un assegno
falsificato non a fronte della mera alterazione del titolo ma solo nei casi in cui l’alterazione sia
rilevabile “ictu oculi” (a colpo d’occhio) in base alle conoscenze del bancario medio il quale non è
tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è
tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo”.
Dunque, con la suddetta sentenza la Suprema Corte ha di fatto sancito che la Banca
non è responsabile del pagamento di un assegno oggetto di alterazione la cui falsità
non sia visibilmente rilevabile dal mero confronto tra la firma apposta sul titolo e
quella depositata dal cliente in Banca all’atto dell’apertura del rapporto di conto
corrente (specimen di firma).