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quarto motivo si denuncia – in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. – omessa motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio. Si rileva che la Corte d’appello, senza alcuna motivazione, non ha
esaminato il motivo di appello con il quale sono state chieste la dichiarazione di nullità della c.t.u. di primo
grado e la rinnovazione della consulenza stessa. Al riguardo era stato fatto presente che la relazione del
c.t.u.: a) si basava su un presupposto sbagliato e ultroneo rispetto al quesito con riguardo alla valutazione
del quadro clinico rilevante per l’accertamento di compatibilità delle mansioni (che, come si è detto,
restringeva temporalmente al momento dell’assunzione, risalente ad otto anni prima del licenziamento); b)
ometteva di dare conto del fatto che la prova testimoniale aveva consentito di accertare che era veritiera la
descrizione delle modalità di svolgimento delle mansioni effettuata dalla (…) sicché ne era risultata smentita
la diversa descrizione offerta dalla datrice di lavoro; e) si riferiva alle mansioni, come descritte dalla datrice di
lavoro, ancorché smentite dalle risultanze processuali, come riconosciuto dalla stessa Corte d’appello. Ciò
ha falsato il giudizio della Corte bresciana sulla compatibilità delle mansioni, decisivo per la presente
controversia.
II – Esame dei motivi del ricorso
5.- I quattro motivi del ricorso – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono
fondati.
II-a – Premessa
6.- Come di recente affermato da questa Corte, l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone disabili (nel
settore pubblico, così come in quello privato) – la cui normativa nazionale, già per effetto del passaggio dalla
legge 2 aprile 1968, n. 482 alla legge n. 68 del 1999, ha avuto un importante “salto di qualità”, nel senso di
dare migliore attuazione agli artt. 2, 3 e 38, terzo comma, Cost. – ha assunto oggi un ruolo ancora più
importante grazie all’art. 26 della carta_dei_diritti_fondamentali_dell’Unione_Europea (cui, com’è noto, l’art.
6 del Trattato di Lisbona ha attribuito il valore giuridico dei trattati) – secondo cui «l’Unione riconosce e
rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantire l’autonomia, l’inserimento sociale e
professionale e la partecipazione alla vita della comunità» – nonché all’art. 27 della Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006 (ratificata e resa esecutiva dall’Italia
con la legge_18_2009) – che riconosce il diritto al lavoro delle persone con disabilità, da garantire con
“appropriate iniziative” volte a favorirne l’assunzione nel settore pubblico ovvero l’impiego nel settore privato
– al quale la Corte costituzionale, nella sentenza n. 80 del 2010, ha attribuito valore cogente nel nostro
ordinamento (Cass. 6 aprile 2011, n. 7889).
II-b – La vicenda che ha dato origine al giudizio di cui si tratta
1- In questa cornice si inquadra anche la vicenda che ha dato origine al presente giudizio, iniziata il 19
gennaio 1998, con l’assunzione obbligatoria (ai sensi della legge n. 482 del 1968) della (…)- riconosciuta
invalida civile nel 1993, con riduzione della capacità lavorativa dell’80% – da parte dalla società (…) e
conclusasi con la lettera del 31 maggio 2001, con la quale la società ha intimato alla lavoratrice il
licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia. Avverso il licenziamento la (…) ha
proposto ricorso al Tribunale di Cremona per sentirne dichiarare l’inefficacia o l’illegittimità, con le
conseguenze di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, per errato conteggio delle assenze dovuto alla
mancata considerazione: a) della incompatibilità delle mansioni affidatele rispetto alle proprie condizioni di
salute; b) del conseguente collegamento delle patologie che avevano determinato le assenze dal lavoro con
le mansioni svolte. Il Tribunale di Cremona, previa c.t.u., ha respinto il ricorso, ritenendo tutte le assenze per
malattia contestate alla lavoratrice dovevano essere conteggiate perché le relative malattie non erano da
collegare alle mansioni svolte dalla lavoratrice. La Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza di
primo grado.
II – La motivazione della sentenza attualmente impugnata e le censure della ricorrente
8.- Il perno attorno al quale ruota tutta la motivazione della suddetta sentenza è rappresentato dalla
adesione totale (almeno per quel che riguarda la ricostruzione del rapporto tra le malattie che hanno
determinato le assenze e le mansioni svolte) alle conclusioni della consulenza tecnica di primo grado, di cui
si è ritenuto non fosse necessaria la rinnovazione in appello, pur motivatamente richiesta dalla lavoratrice.
D’altra parte, il fulcro delle censure della ricorrente è rappresentato dalla contestazione della impostazione
logica della relazione del c.t.u., nonché delle conclusioni cui tale impostazione ha portato prima il consulente
tecnico e poi il Giudice del merito, che ad esse ha aderito. 9.- Al riguardo va ricordato che, in base a
consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte: 1) la consulenza tecnica d’ufficio – che in genere non è
mezzo di prova bensì strumento di valutazione dei fatti già probatoriamente acquisiti – può costituire fonte
oggettiva di prova – pur rimanendo un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al
potere discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di servirsene per sollevare
le parti dall’onere probatorio e dell’obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta (vedi, per tutte: Cass.
8 gennaio 2004, n. 88) – quando si risolva nell’accertamento di situazioni rilevabili solo con l’ausilio di
specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche – come avviene con la consulenza medico-legale – sicché in
tal caso il giudice può aderire alle conclusioni del consulente senza essere tenuto a motivare esplicitamente
l’adesione, salvo che dette conclusioni formino oggetto di specifiche censure (arg. ex Cass. 19 gennaio
2011, n. 1149); 2) in particolare, qualora il giudice ritenga di aderire al parere del consulente tecnico di
ufficio, è tenuto a spiegare in maniera corretta ed esauriente i motivi delle sue conformi conclusioni, nel caso
in cui le affermazioni contenute nell’elaborato peritale siano oggetto, nella impostazione difensiva della parte,