9. Così escluso che la tardività della contestazione dell’illecito disciplinare possa essere sanzionata attraverso
il rimedio della tutela reale piena o depotenziata di cui all’art. 18 – nel testo vigente a seguito della riforma
introdotta dalla legge n. 92 del 2012 – resta il problema di stabilire a quale forma di tutela indennitaria far
ricorso, se cioè a quella forte, di cui al quinto comma, o a quella debole, di cui al sesto comma dell’art. 18
della legge n. 300/70.
La soluzione del problema discende sostanzialmente dalla valenza che si intende attribuire al principio della
tempestività della contestazione dell’illecito disciplinare, nel senso che se, per un verso, è certo che l’obbligo
della contestazione tempestiva dell’addebito rientra nel procedimento disciplinare di cui all’art. 7 della legge
n. 300 del 1970, d’altro canto, è pur vero che ciò non implica automaticamente che la violazione del principio
della tempestività della contestazione disciplinare, così come elaborato dalla giurisprudenza, debba essere
sempre sanzionata attraverso il meccanismo della indennità attenuata, di cui al sesto comma del citato art.
18, per il solo fatto che tale norma contempla, tra le ipotesi di applicazione di tale più lieve sanzione, quelle
derivanti dalla violazione delle procedure di cui all’art. 7 della stessa legge n. 300 del 1970 e dell’articolo 7
della legge 15 luglio 1966, n. 604, unitamente alla violazione del requisito della motivazione.
Invero, il principio della tempestività della contestazione lo si desume dal contesto della lettura della norma
di cui all’art. 7 della legge n. 300/70, dal momento che questa non lo enunzia in maniera espressa, limitandosi
solo a prevedere quanto segue: “Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei
confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua
difesa.”
Egualmente l’art. 7, comma 1, della legge n. 604 del 1966, anch’esso richiamato nel sesto comma dell’art.
18 della legge n. 300/70, si limita a stabilire che ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e
per giustificato motivo soggettivo, dell’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per
giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da
un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio
1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore
di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa
per conoscenza al lavoratore.
Ciò autorizza a ritenere che il principio della tempestività della contestazione può risiedere anche in esigenze
più importanti del semplice rispetto delle regole, pur esse essenziali, di natura procedimentale, vale a dire
nella necessità di garantire al lavoratore una difesa effettiva e di sottrarlo al rischio di un arbitrario
differimento dell’inizio del procedimento disciplinare. Si è, infatti, affermato che, in materia di licenziamento
disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore
incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale
difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo
della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo
dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità
ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile.
Inoltre, tra l’interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obbiettiva ragione e il
diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, non può non prevalere la posizione di quest’ultimo,
tutelata “ex lege”, senza che abbia valore giustificativo, a tale fine, la complessità dell’organizzazione
aziendale (v. in tal senso Cass. sez. lav. n. 13167 dell’8.6.2009).
A ben vedere il fondamento logico-giuridico della regola generale della tempestività della contestazione
disciplinare non soddisfa solo l’esigenza di assicurare al lavoratore incolpato l’agevole esercizio del diritto di
difesa, quando questo possa essere compromesso dal trascorrere di un lasso di tempo eccessivo rispetto
all’epoca di accertamento del fatto oggetto di addebito, ma appaga anche l’esigenza di impedire che l’indugio
del datore di lavoro possa avere effetti intimidatori, nonché quella di tutelare l’affidamento che il dipendente
deve poter fare sulla rinuncia dello stesso datore di lavoro a sanzionare una mancanza disciplinare
allorquando questi manifesti, attraverso la propria inerzia protratta nel tempo, un comportamento in tal
senso concludente.
10. In definitiva, la violazione della procedura di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, alla quale il novellato
sesto comma dell’art. 18 riconduce l’applicabilità della tutela indennitaria debole unitamente ai casi di
violazione della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 604/1966 e di inefficacia per violazione del requisito
della motivazione di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 604/1966, è da intendere, ai fini sanzionatori che
qui rilevano, come violazione delle regole che scandiscono le modalità di esecuzione dell’intero iter
procedimentale nelle sue varie fasi, mentre la violazione del principio generale di carattere sostanziale della
tempestività della contestazione quando assume il carattere di ritardo notevole e non giustificato è idoneo