e puntuale, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie e con
l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza ( Cass. SSUU. 17931/2011; Cass. 24298/2016,
5337/2007).
15. I motivi non sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., disposizione che, nella lettura datane
nella recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 7155 del 2017, condivisa da questo
Collegio, esonera la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente
orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
Inconsistenza non sussistente nella fattispecie in esame per quanto si osserva di seguito.
16. I motivi sono ammissibili ai sensi dell’art. 348 ter c. 5 c.p.c. in quanto le censure formulate
denunciano vizio di violazione e di falsa applicazione di norme di diritto (terzo motivo) e non investono
l’adesione del giudice di appello al giudizio di fatto contenuto nella sentenza di primo grado, che
(secondo motivo) si assume mancato quanto alla qualificazione, giuridica, del trasferimento ai sensi
dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 33 c. 5 della L. n. 104 del 1992.
17. Nel merito le censure sono fondate.
18. La L. 5 febbraio 1992, n. 104 (legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate) ha introdotto, all’art. 33, agevolazioni per i lavoratori che assistono soggetti
portatori di handicap.
19. Va rilevato, pur omettendone per brevità il testuale richiamo, che dalla lettura di tutte le
agevolazioni disciplinate dal dettato originario dell’art. 33, si evince che il legislatore del 1992 ha
espressamente connotato della “gravità” la situazione del familiare del lavoratore, minorenne o
maggiorenne, necessitato dell’accudimento sotteso alle agevolazioni introdotte in tutti i commi del
menzionato articolo 33, fatta eccezione proprio del comma 5 ove il legislatore ha piuttosto fatto
riferimento alla correlazione, tra lavoratore e familiare, fondata sull’assistenza con continuità e sulla
convivenza.
20. L’art. 33 c. 5 , nel testo applicabile “ratione temporis” alla vicenda dedotta in giudizio dispone che
“Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al
domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
21. I requisiti indicati dal comma 3, pur contestualmente novellato dalla cit. L. n. 183, art. 24, comma
1, lett. a), che accomunano ora la disciplina dei permessi retribuiti a quella del trasferimento, risultano i
seguenti: “A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore
dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge,
parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della
persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure
siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre
giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera
continuativa…”. La fruizione di tali agevolazioni presuppone che la condizione di disabilità sia accertata
mediante le Commissioni mediche previste dalla L. n. 104 del 1992, art. 4 (cfr., ex plurimis, Cass.
8436/2003).
22. Sul piano sistematico, come già affermato da questa Corte ( Cass. SSUU 16102/2009; Cass.
25379/2016, 22421/2015, 9201/2012), la configurazione giuridica delle posizioni soggettive
riconosciute dalla norma, e i limiti del relativo esercizio all’interno del rapporto di lavoro, devono essere
individuati alla luce dei numerosi interventi della Corte costituzionale che – collocando le agevolazioni in
esame all’interno di un’ampia sfera di applicazione della L. n. 104 del 1992, diretta ad assicurare, in
termini quanto più possibile soddisfacente, la tutela dei soggetti con disabilità – destinata a incidere sul