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• In tal modo non si è tenuto conto neppure dell'art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001, secondo
) ' cui: a) nella versione vigente all'epoca dei fatti: nell'applicazione degli istituti previsti dalla
disciplina relativa all'orario di lavoro, vanno favoriti i dipendenti che si trovino in particolari
"
situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare (comma 3); b) nei testo risultante dalle
modifiche di cui alla legge n. 183 del 2010: "le pubbliche amministrazioni garantiscono ...
l'assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa .... alla disabilità .... nel
trattamento e nelle condizioni di lavoro ..,.. e garantiscono altresì un ambiente di lavoro
improntato al benessere organizzativo" (comma 1).
Certamente, tale ultima versione dell'art. 7, comma 1, cit. è entrata In vigore in epoca
successiva ai fatti oggetto del presente giudizio ma proprio perché il canone del benessere
organizzativo era già da tempo presente in ambito europeo - e tutta la normativa sui buoni
pasto nasce dall'esigenza di adeguamento della disciplina nazionale a quella dell'orario di
lavoro europeo, come si è detto - ad essa può farsi riferimento in chiave di interpretazione
evolutiva (Cass. 13 aprile 2016, n. 7313).
Del resto, anche il CCNL relativo al personale del Compatto delle Agenzie fiscali 2002-
2005 cit., richiama espressamente la necessità di disciplinare, nell'ambito della contrattazione
integrativa, fra l'altro: "le misure necessarie per facilitare il lavoro dei dipendenti disabili,
secondo quanto previsto a livello nazionale di Agenzia" (art. 4, che sostanzialmente replica
l'art. 5, comma 5, lettera c del CCNL 6 maggio 1995 Comparto Ministeri) e si occupa della
tutela dei dipendenti portatori di handicap (sia pure a fini che qui non interessano
specificamente, vedi art. 57). Inoltre, l'art. 1, comma 2, del CCNI dell'Agenzia delle Entrate,
2002-2005, stabilisce che: "il CCNI regola le materie demandate al livello di contrattazione
integrativa dal contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Agenzie fiscali 2002-2005,
di seguito indicato come CCNL, le cui disposizioni si intendono, comunque, integralmente
richiamate".
2.8.- Con riguardo al merito delle censure può, infine, aggiungersi che per effetto della
direttiva 2000/78/CE (cui è stata data attuazione con il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216) è stato
stabilito un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione, di
condizioni di lavoro e di formazione professionale, finalizzato, in particolare, a combattere
qualunque tipo di discriminazione in ambito lavorativo e/o di formazione fondato, fra l'altro,
sugli handicap.
L'art. 5 della direttiva esige, in particolare, che tutti i datori di lavoro, pubblici e privati,
siano tenuti ad adottare provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze concrete in
favore dei disabili.
Con sentenza della Corte di giustizia UE del 4 luglio 2013, causa C 312/11, il nostro Stato
è stato condannato per non corretta e completa trasposizione del citato art. 5 della direttiva,
avendo la CGUE ritenuto che legislazione nazionale, anche se valutata nel suo complesso, "non
impone all'insieme dei datori di lavoro l'obbligo di adottare, ove ve ne sia necessità,
provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a favore di
tutti i disabili, che riguardino i diversi aspetti dell'occupazione e delle condizioni di lavoro, al
fine di consentire a tali
persone
di
accedere
ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una
promozione o di ricevere una formazione".
Nella citata sentenza - così come nelle coeve sentenze HK Danmark, 11 aprile 2013, C-
335/11 e C-337/11; Z., 18 marzo 2014, C-363/12 - la Corte ha precisato che: a) la nozione di
"handicap" non è definita nella citata direttiva 2000/78/CE; b) tuttavia tale nozione, anche alla
luce della Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale