1.- Con l'unico motivo di ricorso si denunciano: a) in relazione all'art. 360, n. 3, cod.
oc. civ., violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni (indicate specificamente
nel corpo del motivo): 1) artt.
4,
5 dell'Accordo sindacale sottoscritto il 30 aprile 1996 - poi
integrato dall'accordo sindacale del 12 dicembre 1996 -di attuazione per il personale del
"Comparto Ministeri" dell'art. 2, comma 11, della legge 28 dicembre 1995, n. 550, che aveva
previsto la corresponsione dei buoni pasto al personale civile dei Ministeri; 2) art. 19 (orario di
lavoro) del CCNL 6 maggio 1995 Compatto Ministeri; 3) artt. 98 e 99 del CCNL relativo al
personale del Comparto delle Agenzie fiscali per il quadriennio normativa 2002 - 2005 e
biennio economico 2002 - 2003; 4) ogni altra norma di principio in materia di interpretazione
delle disposizioni collettive
di diritto comune
e dei contratti in genere; b) in relazione all'art.
360, n. 5, cod. proc. civ., omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio.
Dopo il rilievo secondo cui la datrice di lavoro, Agenzia delle Entrate, non ha mai
contestato la sussistenza in capo al ricorrente delle condizioni contrattualmente previste per
l'attribuzione dei buoni pasto, si sottolinea che - come ha rilevato anche la Corte d'appello,
senza però dare seguito a tale rilievo - fin
dal primo
grado del giudizio la pretesa azionata è
stata quella relativa ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali subiti a causa della
avvenuta erogazione, da parte della Amministrazione datrice di lavoro, di buoni pasto che per
iI De Simone non erano in concreto fruibili.
Il ricorrente, infatti, ha sempre precisato di essere stato costretto a restituire i buoni
pasto ricevuti perché non venivano accettati né dalla mensa interna né da alcun esercizio
commerciale sito nelle immediate vicinanze dell'Ufficio o comunque raggiungibile da parte
dell'interessato - che essendo una persona non vedente (svolgente mansioni di centralinista) -
ha oggettive difficoltà di deambulazione, che ne limitano la capacità di spostamento.
La Corte salernitana non ha esaminato tale censura, limitandosi a ribadire che i buoni
pasto non hanno natura retributiva, ma hanno carattere assistenziale e che, come risulta
anche dall'art. 99, comma 4, del CCNL da applicare nella specie, i buoni pasto non possono
essere liquidati per equivalente, come integrazioni retributive in denaro, non rientrando nel
sinallagma contrattuale del rapporto di lavoro.
Pertanto - conclude il ricorrente - anche la Corte d'appello non ha valutato la pretesa
azionata nella suo reale contenuto.
lI
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Esame delle censure
2.- Il ricorso è da accogliere, per le ragioni e nei limiti di seguito esposti.
2.1.- è jus receptum che il giudice di merito, nell'indagine diretta all'individuazione del
contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad
uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino
contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta
valere, come deSumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante,
eventualmente prendendo in considerazione domande non espresse che possono ritenersi
implicitamente formulate se in rapporto di connessione con il petitum e la causa pretendi,
senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla
richiesta e di non sostituire d'ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta (Cass. 7
gennaio 2016, n. 118; Cass. 8 marzo 2012, n. 3632; Cass. 14 novembre 2011, n. 23794;
Cass. 17 settembre 2007, n. 19331; Cass. 10 febbraio 2010, n. 3012; Cass. 2 dicembre 2004,
n. 22665; Cass. 2 febbraio 1996, n. 900Cass. 22 giugno 1995, n. 7080).
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale