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6.– Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione alla Corte ribadendo il proprio precedente
orientamento in ordine al computo dello straordinario e ritenendo l’illegittimità costituzionale dello
ius superveniens; sotto il profilo della rilevanza ha segnalato che la portata retroattiva della norma,
che si autodefinisce interpretativa, ne avrebbe comportato l’applicazione nel giudizio a quo, con
conseguente reiezione delle pretese attoree da ritenersi, viceversa, fondate in base all’orientamento
fino ad allora seguito dallo stesso giudice rimettente.
7.– In ordine al presupposto della non manifesta infondatezza, il giudice a quo ha denunciato la
portata innovativa e non interpretativa della norma impugnata poiché essa è intervenuta su
disposizioni aventi ad oggetto la disciplina della indennità da lavoro festivo e avrebbe introdotto
una disposizione nuova, relativa alla modalità per il calcolo del lavoro straordinario, non ricavabile
in alcun modo dalla lettura del testo originario.
8.– Il carattere dichiaratamente retroattivo della previsione, derivante dal suo autoqualificarsi norma
interpretativa, comporterebbe, ad avviso del giudice a quo, la violazione dell’art. 3 Cost. poiché la
portata retroattiva di una norma, quando non sia riconducibile alla natura interpretativa di essa, deve
essere sorretta da un’adeguata indicazione di motivi imperativi di interesse generale che ne
giustifichino l’adozione.
9.– Nella specie il motivo imperativo di interesse generale non può essere ricondotto, secondo
l’ordinanza di rimessione, alla mera volontà di evitare un ingente esborso per le casse pubbliche,
derivante dall’esito sfavorevole per la pubblica amministrazione del contenzioso in base
all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato, così che l’effetto retroattivo della disposizione, che
opera una consistente limitazione del diritto alla retribuzione equa e proporzionata, tutelato a livello
costituzionale dall’art. 36 Cost., risulta privo di ragionevole ed adeguata giustificazione.
10.– Un ulteriore profilo di illegittimità è stato individuato dal giudice a quo nella violazione
dell’art. 6 della CEDU le cui disposizioni, nell’interpretazione loro attribuita dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo, integrano, per costante giurisprudenza costituzionale, il parametro
costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, nella parte in cui impone al legislatore di
conformarsi ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
11.– In particolare, tale obbligo non sarebbe stato rispettato poiché i principi di preminenza del
diritto e del processo equo, consacrati nell’art. 6 della CEDU e alla cui logica risponde la
preclusione ad adottare norme retroattive idonee a condizionare le situazioni processuali in corso,
possono essere incisi solo in presenza di ragioni imperative di interesse generale che risultano
assenti nella fattispecie all’esame.
12.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato deducendo l’infondatezza della questione e la legittimità della
norma impugnata, la cui adozione sarebbe ragionevole poiché volta a dirimere il dibattito
sviluppatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa tra quella di primo grado e quella di
secondo grado nel senso innanzi indicato.
13.– La natura interpretativa della norma in questione, d’altronde, sarebbe confermata, a parere
della difesa statale, dal tenore letterale dell’art. 10 del d.P.R. n. 170 del 2007 (norma generale per il
personale di tutte le Forze di polizia), che, nel caso di attività lavorativa prestata in giorno destinato
al riposo settimanale ovvero nel festivo infrasettimanale, mantiene fermo il diritto al recupero e
precisa che l’indennità da corrispondere al lavoratore compensa la sola ordinaria prestazione di
lavoro giornaliero. Quest’ultimo riferimento renderebbe controversa la questione della modalità di
calcolo dell’orario di lavoro per il riconoscimento del diritto al pagamento della retribuzione per il