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Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza del 27 maggio 2015, n. 10955
Presidente Vidiri – Relatore Doronzo
Svolgimento del processo
1.
– D.D.L., dipendente della P. A. s.r.l. con la qualifica di operaio addetto alle presse
stampatrici, è stato licenziato in data 24 settembre 2012 sulla base delle seguenti
contestazioni: 1) in data 21/8/2012 si era allontanato dal posto di lavoro per una telefonata
privata di circa 15 minuti che gli aveva impedito di intervenire prontamente su di una
pressa, bloccata da una lamiera che era rimasta incastrata nei meccanismi; 2) nello stesso
giorno era stato trovato, nel suo armadietto aziendale, un dispositivo elettronico (Ipad)
accesso e in collegamento con la rete elettrica; 3) nei giorni successivi, in orari
esattamente indicati, si era intrattenuto con il suo cellulare a conversare su face book. Il
licenziamento è stato intimato per giusta causa, ai sensi dell’art. 1, comma 10, Sez., 1V-
Tit. VII del C.C.N.L. di categoria.
1.1.
– Il D.L. ha presentato ricorso ex art. 18 legge n. 300/1970, come modificato dall’art.
1, comma 421 della legge 28 giugno 2012, n. 92, al Tribunale di Lanciano il quale, con
sentenza resa in sede di opposizione contro l’ordinanza con la quale era stata rigettata
l’impugnativa di licenziamento, l’ha accolta e ha dichiarato risolto rapporto di lavoro tra le
parti con effetto dalla data del licenziamento; ha quindi condannato la società datrice di
lavoro a corrispondere al lavoratore un risarcimento del danno pari a ventidue mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il Tribunale ha infatti ritenuto che i fatti contestati al
lavoratore, – non essendo riconducibili a condotte punite dal C.C.N.L. con sanzioni
conservative, in ragione della pluralità delle stesse e della loro commissione in un ristretto
contesto spaziotemporale -, nondimeno, non integrassero gli estremi della giusta causa o
del giustificato motivo soggettivo, con la conseguenza che in base al quinto comma
dell’art. 18 cit, nel testo modificato, doveva riconoscersi al lavoratore la sola tutela
“attenuata” del risarcimento del danno.
1.2.
– La sentenza è stata reclamata dinanzi alla Corte d’appello dell’Aquila, con
impugnazione principale, dal D.L. e, con impugnazione incidentale, dalla P. s.r.l. e la Corte
aquilana, con sentenza depositata in data 12 dicembre 2013 ha rigettato il reclamo
principale e accolto quello incidentale, rigettando così l’impugnativa di licenziamento
proposta dal ricorrente, che ha poi condannato alla restituzione della somma ricevuta in
esecuzione della sentenza reclamata.
1.3.
– La Corte territoriale ha ritenuto che i fatti addebitati al lavoratore siano stati provati
attraverso la deposizione del teste Pinto, responsabile del personale; che l’accertamento
compiuto dalla società datrice di lavoro delle conversazioni via internet intrattenute dal
ricorrente con il suo cellulare nei giorni e per il tempo indicato – accertamento reso
possibile attraverso la creazione da parte del responsabile del personale di un “falso
profilo di donna su face book” – non costituisse violazione dell’art. 4 della legge n.
300/1070, in difetto dei caratteri della continuità, anelasticità, ìnvasività e compressione
dell’autonomia del lavoratore nello svolgimento della sua attività lavorativa,del sistema
adottato dalla società per pervenire all’accertamento dei fatti. Ha quindi proceduto al
giudizio di proporzionalità tra i fatti accertati e la sanzione arrogata, ritenendo che si fosse
in presenza di inadempimenti che esulano dallo schema previsto dall’art. 10 del C.C.N.L.,
in considerazione del fatto che il lavoratore era stato già sanzionato per fatti analoghi nel
2003 e nel 2009 e che tali precedenti erano stati espressamente richiamati nella lettera di
contestazione.
1.4.
– Contro la sentenza il D.L. propone ricorso per cassazione sostenuto da tre motivi,
cui resiste con controricorso la società. Le parti depositano memorie ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione