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Con la Sentenza emessa in data 27/5/2015, la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ha fornito alcune precisazioni in merito alla
questione dei controlli, da parte dell’Azienda, sul Lavoratore.
Nella fattispecie, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso di un Lavoratore del settore privato che, tra l’altro,
reclamava l’illegittimità della condotta aziendale che attraverso la creazione di un falso profilo “facebook” è riuscita a provare la
negligenza del proprio Dipendente e la sua propensione ad assentarsi dal posto di lavoro, tanto da arrivare al licenziamento.
La pronuncia della Corte di Cassazione ha ritenuto accertati i fatti discussi nei precedenti giudizi di merito, nei quali era emerso che il
Responsabile delle Risorse Umane dell’Azienda attraverso la creazione di un falso profilo su “facebook” riusciva a contattare sul
“social” un Dipendente che già era stato sorpreso ad assentarsi dal posto di lavoro per una telefonata di oltre un quarto d’ora, lasciando
incustodito un macchinario che, durante l’assenza, si era bloccato.
Nei giorni successivi, il dipendente aveva, poi, “chattato” a lungo su “facebook” proprio con il profilo falso creato dal Responsabile
del Personale, in orari coincidenti con quelli lavorativi.
Sulla base anche di queste prove era scattata la procedura di licenziamento per giusta causa.
La Corte di Cassazione, nel motivare la propria decisione, ha tenuto in considerazione la necessità che il potere di controllo dei
Datori di lavoro non prevarica il diritto alla riservatezza del Lavoratore.
La valutazione del panorama giurisprudenziale in materia conduce, infatti, i Giudici di Cassazione a sottolineare
il principio
della
tendenziale ammissibilità dei controlli difensivi occulti, anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale, in
quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa”
. Una
fattispecie - che comprende anche il caso in questione - che si pone al di fuori dal perimetro dello Statuto dei Lavoratori.
Per la Corte di Cassazione il comportamento dell’azienda aveva come obiettivo non tanto la verifica sulla prestazione lavorativa,
quanto piuttosto la realizzazione di atti illeciti da parte del Lavoratore dipendente, poi effettivamente riscontrati e già manifestatisi nei
giorni precedenti. Un controllo difensivo, quindi, indirizzato
“a individuare e sanzionare un comportamento tale da ledere il
patrimonio aziendale, sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti”
.
In questa prospettiva allora, la creazione del profilo su “facebook” costituisce, nelle motivazioni della Suprema Corte,
“una mera
modalità di accertamento dell’illecito commesso dal Lavoratore, non invasiva né induttiva all’infrazione, avendo funzionato come
mera occasione o sollecitazione cui il Lavoratore ha prontamente e consapevolmente aderito”
.
Con le suddette motivazioni, la Corte di Cassazione ha, quindi, confermato la legittimità del licenziamento operato dall’Azienda.