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Corte di Cassazione Sez. Quinta Civ. - Sentenza del 30.10.2009 n. 23017
1. - Dati del processo
1.1. - Il signor (…) titolare della dipendenza (…) fece opposizione, con ricorso al tribunale di Napoli, ai
sensi dell’articolo 22, legge 24 novembre 1981, n. 689, contro il decreto emesso il 6.12.2001
(notificato il 22.3.2002) dal ministero dell’economia e delle finanze, dipartimento del tesoro, con cui gli
era ingiunto il pagamento, in solido con la suddetta banca, della somma di Lire 79.000.000, a titolo di
sanzione per omessa segnalazione - in violazione dell’articolo 3,
decreto legge 143/1991
, convertito
nella legge 5 luglio 1991, n. 197, recante. “Provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei
titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio” - di operazioni asseritamene sospette, consistite nel versamento, anche da parte di
soggetti non titolari di conto corrente presso la stessa dipendenza bancaria, di rilevanti somme di
denaro (Lire 395.000.000) in modo frazionato e parzialmente in contanti.
1.2. - Con la sentenza citata in epigrafe, pronunziata in contraddittorio delle parti, il tribunale giudicò
che nessun obbligo di comunicazione incombeva all’opponente, partendo dalla considerazione che
anche operazioni “connotate da anomalie oggettive potrebbero risultare giustificate e non sospette se
guardate alla luce delle notizie sul cliente conosciute dall’intermediario”; quindi annullò l’ingiunzione
avendo rilevato che il caso in esame, obbiettivamente anomalo alla stregua dei parametri indicativi di
operazioni sospette elaborati dalla Banca d’Italia (emissione reiterata di assegni al di sotto del limite
di venti milioni di Lire), non dava tuttavia adito a dubbi tali da imporre la segnalazione giacché “la
conoscenza dei soggetti coinvolti e della provenienza del denaro utilizzato rendevano perfettamente
spiegabili le operazioni oggetto di contestazione. Infatti tutti i soggetti coinvolti intrattenevano
consolidati rapporti con il (…) ed il denaro utilizzato proveniva dalla vendita di un complesso
immobiliare di proprietà della società”, di cui era amministratore uno dei depositanti.
1.3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre il ministero dell’economia e delle finanze, con unico
motivo; l’intimato (…) resiste mediante controricorso, illustrato anche da memoria.
2. - Motivo del ricorso e replica del resistente
2.1. - La sentenza del tribunale è censurata, ai sensi dell’articolo 360, 1° co., nn. 3 e 5, c.p.c., per
violazione e falsa applicazione dell’articolo 3, co. I, D.L. 3 maggio 1991, n. 143, convertito nella legge
5 luglio 1991, n. 197, e successive modifiche ed integrazioni; e per insufficienza e contraddittorietà
della motivazione su un punto decisivo.
2.1.1.- La difesa erariale sostiene che il giudice a quo, pur riconoscendo che la norma citata è
inequivocabile nel prevedere, in determinati casi, uno specifico obbligo di segnalazione, tuttavia “ne
relativizza la portata al punto da sminuire tale obbligo in un’opzione meramente discrezionale”;
dovendosi invece ritenere, secondo una corretta interpretazione del citato articolo 3 (come sostituito
dall’articolo 1, D. L. vo 26 maggio 1997, n. 153), che il personale bancario è tenuto a collaborare
attivamente nella lotta al riciclaggio, segnalando qualunque operazione sospetta, “nel senso che solo
l’assoluta certezza circa la regolarità delle operazioni effettuate potrebbe essere al limite suscettibile
di escludere l’obbligo di segnalazione”; pertanto, “anche un solo sospetto o la presenza di una
minima anomalia farebbe scattare l’obbligo di segnalazione”; con la conseguenza che, nella
fattispecie in esame, la norma sarebbe stata violala o falsamente interpretala dal tribunale, mancando
“l’assoluta certezza della regolarità delle operazioni quando uno dei soggetti coinvolti non solo aveva
posto in essere un comportamento contrastante con gli indici di anomalia di operazioni sospette
messi a punto dalla Banca d’Italia - e cioè richieste frequenti e per importi significativi di assegni
circolari contro versamento di denaro contante -, ma non risultava nemmeno persona intestataria di
conto corrente presso la dipendenza cui era stata rivolta siffatta richiesta”, consistente nell’emissione
di quindici assegni circolari per un importo complessivo di Lire 200.000.000. a fronte del versamento
di contanti.
2.1.2.- In conclusione, secondo l’amministrazione ricorrente, il citato articolo 3 dovrebbe essere
interpretalo “nel senso che per far scattare l’obbligo di denuncia è sufficiente l’esistenza di un minimo
sospetto circa la trasparenza dell’operazione”; altrimenti si rischierebbe di vanificarne
sostanzialmente la portata, quando si desse “prevalente credito a giustificazioni rese a posteriori e
per di più basate su valutazioni di carattere prevalentemente soggettivo”.