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SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE N. 26143 del 21/11/2013
Svolgimento del processo
Con sentenza del 21/9 - 18/10/2010 la Corte d’appello di Torino ha rigettato l’impugnazione proposta da K.S.
avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo piemontese che gli aveva
respinto l’impugnativa del licenziamento intimatogli il 4/8/2008 dall’Azienda ospedaliera Ordine Mauriziano di
Torino per la grave situazione di sfiducia, sospetto e mancanza di collaborazione venutasi a creare all’interno
della "equipe" medica di chirurgia plastica dovuta al fatto che il medesimo aveva registrato brani di
conversazione di numerosi suoi colleghi a loro insaputa, in violazione del loro diritto di riservatezza, per poi
utilizzarli in sede giudiziaria.
La Corte, dopo aver premesso che appariva inescusabile il ritardo nelle contestazioni disciplinari del 2008
concernenti fatti risalenti al luglio ed al novembre del 2007, ha spiegato che nessuna censura meritava il
principale degli addebiti mossi all'appellante, vale a dire quello inerente alle registrazioni delle conversazioni
tra i colleghi al fine di supportare la denunzia di "mobbing" nei confronti del primario rispetto alla quale il
pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione, atteso che l'addebito era stato puntualmente contestato in
forma specifica e la condotta in esso rappresentata integrava gli estremi della giusta causa di recesso in
conseguenza della irrimediabile lesione del vincolo fiduciario con la parte datoriale.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il K., il quale affida l’impugnazione ad un solo motivo di
censura.
Resiste con controricorso l’Azienda sanitaria intimata.
Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo, dedotto per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della
controversia ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., il ricorrente censura l’impugnata sentenza sostenendo che la Corte
territoriale sarebbe incorsa in errore nel valutare la legittimità del recesso datoriale alla luce di una sola
contestazione, vale a dire quella relativa "alle registrazioni delle conversazioni tra i colleghi al fine di
supportare la denuncia di mobbing nei confronti del primario".
Il ricorrente solleva, quindi, diversi dubbi in ordine alla ritenuta gravità dell’episodio contestatogli, adducendo
che non era chiaro quale potesse essere stato l’elemento specifico della sua condotta capace di far venir meno il
vincolo fiduciario e se un tale elemento dovesse essere ravvisato nella violazione dei diritto alla riservatezza dei
suoi colleghi o nel fatto che questi avessero ritenuto impossibile una collaborazione a seguito dell’accaduto.
Obietta, altresì, il ricorrente che la registrazione di brani di conversazione di numerosi suoi colleghi non poteva
ritenersi di per sé illegittima, posto che le registrazioni audiofoniche costituivano legittimo elemento di prova
utilizzabile in giudizio, salvo il disconoscimento della controparte, e senza che potesse configurarsi in alcun
modo una violazione della riservatezza altrui, né poteva rilevare il fatto che la denunzia presentata in sede
penale fosse stata archiviata, in quanto ciò non poteva comportare automaticamente, come sostenuto dai giudici
d’appello, l’infondatezza delle accuse di mobbing da lui formulate in sede civile. Aggiunge il K.che nemmeno
poteva considerarsi rilevante la ravvisata impossibilità di collaborazione coi suoi colleghi, posto che la
situazione di disagio con questi ultimi si era già manifestata prima dell’episodio delle registrazioni, senza che la
stessa fosse stata mai oggetto di rilievi disciplinari.
Infine, il ricorrente imputa alla Corte di merito di aver disatteso le numerose testimonianze dalle quali era
emerso che il suo comportamento pregresso non aveva in alcun modo contribuito ad ingenerare l’anzidetto
clima di sfiducia e la mancanza di spirito collaborativo nei riguardi dei suoi colleghi.
Il ricorso è infondato.