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quella delle presenze sul luogo di lavoro e costituirebbe secondo alcuni una forma di controllo a distanza del
lavoratore espressamente vietata da parte del Garante se non previa verifica preliminare ai sensi dell'art. 17 del
Codice privacy e conseguente notificazione al Garante ex art. 37 del Codice privacy. Ne consegue che, salvo
casi del tutto particolari (si pensi alle indagini di polizia in presenza di sospetti di illecito penale), la
visualizzazione dell'area in cui si trovano i cartellini marcatempo da parte del datore di lavoro, deve ritenersi
contraria alla normativa vigente.
Divieto di utilizzo delle immagini ed ammissibilità delle prove costituite dalle immagini nei
procedimenti penali
Il Garante privacy in tutti i provvedimenti in commento in questa sede ha disposto il divieto del trattamento
considerata la violazione dell'art. 11 del Codice privacy, come si ricorderà, infatti, il comma 2 di questo articolo
richiama la sanzione panprocessualista dell'inutilizzabilità dei dati trattati in violazione di legge mentre il comma
1 prevede, tra l'altro, l'obbligo di trattare i dati secondo liceità e correttezza anche con riferimento alle
operazioni di stretta conservazione dei dati ed ai principi di qualità e necessità del trattamento.
Ebbene secondo l'opinione di chi scrive il divieto di inutilizzabilità del dato imposto al Titolare del trattamento,
non deve essere considerato come ostativo alla produzione in giudizio delle immagini posto che in tal caso
opera innanzi tutto l'art. 160 del Codice privacy ed in secondo luogo la giurisprudenza di legittimità ha
ammesso la liceità della produzione in giudizi penali di immagini raccolte in violazione dello Statuto dei
lavoratori.
I giudici di legittimità hanno ritenuto che siano prevalenti sul diritto alla riservatezza e all'autonomia del
lavoratore, le esigenze di ordine pubblico relative alla prevenzione dei reati, laddove vi siano concreti ed
effettivi sospetti dell'attività illecita poste in essere all'interno del luogo di lavoro (Cass. Pen. ,sez. II, 14
dicembre 2009, n. 47429, in
Diritto e pratica del lavoro
, n. 8/2010 IPSOA, pag. 451 e segg, Cass. Pen., 1
giugno 2010, n. 20722, il principio erà già stato affermato in datate sentenze quali: Cass. Pen., 12 febbraio
1983, n. 1236; Cass. Pen. Sez. II, 8 ottobre1985 n. 8687; Cass., 12 giugno 2002, n. 8388 in
Dir. e giust.
2002,
f. 29 e
Arch. civ.
2003, 442; Cass. 3 luglio 2001, n. 8998 in
Foro it.
2002, I, 2793 e in
Not. giurisp. lav.
2002,
35).
Si aggiunga che lo stesso Garante privacy con la Newsletter del 4 febbraio 2011, ha ricordato che la sanzione
pan processualista di cui all'art. 11, comma 2 del Codice privacy vada applicata, ai sensi dell'art. 160 del Codice
privacy, da parte dei giudici e non rientri tra le competenze del Garante privacy. Ne deriva che nel caso in cui
una delle parti produca in giudizio dei documenti che si ritengono violare la riservatezza di altri la competenza a
valutare l'ammissibilità o meno della prova documentale prodotta spetta unicamente al Giudice innanzi al quale
pende il procedimento.
Il trattamento delle immagini nelle strutture sanitarie
Da ultimo non può passare inosservata la circostanza che due dei quattro provvedimenti riguardavano strutture
sanitarie (centro di riabilitazione dei minori e casa di cura di soggetti affetti da malattie particolarmente
invalidanti sotto il profilo psichico) e che l'impianto di videosorveglianza in queste strutture perseguiva anche
una finalità di tutela della salute degli ospiti che potrebbero inopinatamente e con grave rischio per la loro
salute allontanarsi dalla struttura sanitaria (come peraltro spesso episodi di cronaca nera ci hanno abituati). Ciò
nonostante il Garante ha disposto il divieto di trattamento dei dati e l'adozione di misure di sicurezza alternative
per la tutela della salute degli ospiti in attesa dell'autorizzazione della DPL competente o delle rappresentanze
sindacali aziendali e dell'esecuzione degli altri adempimenti.
Misure alternative potrebbero essere, ad esempio, l'impiego di portieri presso tutti gli accessi alla sede
(compresi quelli di emergenza) in modo che gli stessi possano controllare le entrate e le uscite ma si tratta di
misure estremamente costose pur se, come noto, l'Authority privacy italiana, ha ritenuto di evidenziare anche
con il provvedimento generale sulla videosorveglianza del 2010 che la scelta della misura di sicurezza costituita
dalla videosorveglianza non può risiedere in mere ragioni di costo. In termini generali si ricorda, infatti, che
manca nella nostra normativa a tutela dei dati personali una norma che prescriva quale criterio di valutazione di
adeguatezza delle misure di sicurezza il costo della medesima differentemente da normative di altri Paesi