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ingenti importi dai conti correnti attivi della clientela in favore di altri conti
correnti con saldo negativo, per poi ripristinarli con l’aggiunta degli interessi; che
l’illecita prassi era continuata senza danno per nessuno, finché il passivo
accumulato dal conto di un correntista (certo A.), aveva raggiunto un importo
talmente elevato (L. 1.800.000.000), da non essere più ripristinabile; donde gli
ammanchi sui conti dei clienti, fra cui il M. Ne è derivata un’ispezione della
Banca d’Italia, con licenziamento immediato dei responsabili e processo penale
a loro carico, processo conclusosi con sentenza di condanna. Per questi fatti il
M. ha proposto in separata sede azione di responsabilità extracontrattuale
contro la banca, per l’illecito comportamento dei dipendenti. 5.- I motivi, che
possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, non sono fondati.
La sentenza impugnata si è uniformata al principio, più volte affermato da
questa Corte, secondo cui la banca può essere tenuta responsabile del
pagamento di un assegno falsificato non a fronte della mera alterazione del
titolo, ma solo nei casi in cui una tale alterazione sia rilevabile “ictu oculi”, in
base alle conoscenze del bancario medio,il quale non è tenuto a disporre di
particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è
tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo (Cass. civ. Sez. 1, 15 luglio
205 n. 15066). La Corte di merito non ha messo in dubbio il fatto che la firma
sia stata falsificata; solo ha ritenuto che la falsità non fosse visibilmente
rilevabile dal confronto tra la firma apposta sul titolo e quella (c. d. specimen)
depositata dal cliente all’apertura del conto corrente. Ha quindi tenuto conto
dello specimen, nel formulare il suo giudizio, ed ha soggiunto di disporre di
prove - risultanti da altre scritture di comparazione - sufficienti ad escludere la
necessità di disporre apposita consulenza tecnica. La tesi del ricorrente circa la
necessità di valutare la responsabilità della banca con riguardo alla “diligenza
professionale del buon banchiere”, anziché in base al criterio di ordinaria
diligenza, menzionato dalla Corte di appello, ha rilievo meramente
nominalistico, a fronte della mancata indicazione degli elementi o delle
anomalie che la firma falsificata avrebbe presentato,e che avrebbero potuto
essere rilevate con il primo tipo di diligenza e non con il secondo. Il ricorrente
non accenna ad alcun segno o sintomo della falsificazione; né ha depositato a
sua volta domanda. Ricevendo la notifica dell’atto di appello la convenuta si è
trovata nella condizione di doversi difendere poiché pur eccependo che la
sentenza di primo grado era passata in giudicato nei suoi confronti non poteva
sapere se la questione sarebbe stata rilevata dalla Corte di appello, in
mancanza delle sue difese. L’accoglimento della tesi di C. circa la mancata
impugnazione ha comportato la soccombenza sul punto dell’appellante,
soccombenza che ne giustifica la condanna al pagamento delle spese
processuali. 6.- Il ricorso deve essere rigettato. 7.- Le spese del presente
giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del
giudizio di cassazione in favore delle resistenti, spese liquidate complessivamente in €
7.200,00 per ognuna delle parti costituite, di cui € 200,00 per esborsi ed € 7.000,00 per
onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.
Depositata in Cancelleria il 04.10.2011