Mentre l’anno volge al termine, non si attenuano le pressioni commerciali improprie accompagnate dalle immancabili quanto illegittime richieste di compilazione di report che dovrebbero misurare il progressivo avvicinamento a improbabili “over budget”.
Instancabili capi e capetti incuranti delle difficoltà della rete (per la propria personale carriera molto meglio compiacere il diretto superiore, fingendo che vada tutto bene, piuttosto che far emergere un problema e adoperarsi per la sua soluzione) assillano senza tregua colleghe e colleghi che da qualche giorno si trovano oltretutto a fare i conti con l’avvio del nuovo modello distributivo.
Il nuovo assetto è stato calato su una rete mai coinvolta nelle scelte e stremata dalle ricadute organizzative derivanti dalle profonde trasformazioni che hanno coinvolto il Gruppo a partire dalla fine del 2016.
In analogia con le migrazioni delle prime due “bridge banks” (di cui abbiamo di recente denunciato le criticità), anche questo ennesimo cambiamento appare realizzato in maniera affrettata e approssimativa:
-I ncompleta definizione dei portafogli e classificazione della clientela senza un criterio omogeneo;Mancata comunicazione ai clienti;
-Postazioni di lavoro insufficienti o incomplete;
-Assenza di formazione in particolare nei confronti dei Referenti clienti, i quali, già alle prese con portafogli abnormi, si sono visti ora assegnare clienti POE con esigenze e operatività che renderebbero indispensabili adeguati percorsi formativi (e pensare che ogni accordo di piano industriale include la possibilità di fare ricorso a fondi per la formazione finanziata: evidentemente le risorse o non si usano o si usano male);
-Circolarità (elemento essenziale in un modello che vorrebbe essere interfiliale) non realizzata:
Tutti questi elementi caratterizzano l’avvio del nuovo modello.
Quella che appare come una fase di estrema confusione (già di per sé fonte di stress lavoro-correlato, un tema verso il quale l’azienda dovrebbe avere più attenzione) è nel contempo l’anticamera della imposizione dall’alto di nuovi, irraggiungibili obiettivi commerciali.
In proposito ricordiamo a UBI che con il Protocollo sulle politiche commerciali sottoscritto il 26.11.2010 e tuttora vigente si è impegnata affinché nella “predisposizione degli obiettivi commerciali” siano “tenute in considerazione le peculiarità di mercato” e ad effettuare “l’assegnazione alle singole filiali/unità operative di obiettivi” “in coerenza con le disposizioni vigenti in materia di profilatura della clientela di riferimento”.
L’esperienza di questi anni ha dimostrato come dai principi condivisi in quell’accordo l’azienda si sia progressivamente allontanata.
In violazione a quanto il Protocollo prevede in tema di “Rilevazione dei dati”, continua a essere richiesta (e sempre con maggiore frequenza) la compilazione manuale di report, i cui dati potrebbero essere ricavati dal sistema informativo e la cui unica funzione è quella di far sentire inadeguato il malcapitato che, nonostante gli sforzi, non è nelle condizioni di trascrivere un numero ritenuto congruo.
Nel processo di valutazione professionale continua a non essere realizzata la “separazione della valutazione professionale dalla valutazione della performance commerciale”, nonostante a ciò il Gruppo si fosse impegnato.
Questi comportamenti poco si sposano con lo slogan “fare banca per bene”: ma non è il mantenimento della parola data – e quindi il rispetto delle intese – il primo requisito per essere “per bene”?
Invitiamo UBI a un deciso cambio di passo: questa sarebbe la vera Innovazione da perseguire con Metodo e Passione da cui trarrebbero vantaggio Azienda, Clienti e Territori. E i dipendenti.