A PROPOSITO DI FOBIE
di Emanuela Frosina
Fobia significa paura incontrollabile ed irrazionale, determinata da profondi traumi e timori inconsci, che genera un comportamento coatto e irrefrenabile.
Occorrerebbe riflettere bene sul significato del termine, ormai da un secolo – dall’avvento cioè della psicanalisi freudiana – entrato nell’uso comune; perché, spesso, dall’analisi di ogni singola parola, emergono significati inattesi e sorprendenti. Esiste l’agorafobia (paura degli spazi aperti), l’akrofobia (paura dell’altezza), l’aracnofobia (paura dei ragni) e, via enumerando. La fobia dei camici bianchi (terrore alla visita medica), la fobia dello sporco (tipico esempio, la casalinga isterica di fronte all’ennesima impercettibile macchia sul pavimento), la sessuofobia (terrore dei rapporti sessuali). Ed esiste anche l’omofobia: rifiuto aprioristico, acritico ed a-razionale dell’omosessualità.
Soltanto alla luce di tale significato (terrore e disgusto incontrollabili ed irrazionali) possono essere interpretati, quali manifestazioni di un disturbo profondo della personalità, sconcertanti episodi quali le spedizioni punitive, le aggressioni verbali e fisiche, gli insulti e le angherie cui vengono sottoposte le persone sessualmente orientate in modo difforme dalla maggioranza. Appare evidente, infatti, che fino a quando l’omosessuale vive la propria natura e la propria sessualità senza usare violenza verso alcuno, la sua scelta è semplicemente e soltanto affar suo, esattamente come la scelta di ciascun eterosessuale.
Se la sua scelta m’indigna e mi sconvolge al punto da indurmi ad usare a mia volta la violenza, delle due l’una: o sono un omosessuale represso, e la mia identità sessuale è così fragile da farmi temere come una minaccia al mio personale equilibrio ogni diversa manifestazione, o faccio parte di coloro che usano la repressione delle libertà sessuali (etero od omo che siano) come arma di controllo sociale e di potere. Impedire, più che l’esistenza, la manifestazione libera di ogni diversità (sessuale, razziale o etnica che sia) mira, difatti, nello stesso tempo, ad un duplice obiettivo: il rafforzamento fittizio della propria identità minacciata, ed il mantenimento di un malinteso “decoro” e stabilità sociale.
L’attrazione verso il proprio sesso è, statisticamente, minoritaria; tuttavia, essa si presenta più o meno costante, in tutte le epoche della storia ed in tutte le culture, sebbene in molte sia stata e sia tuttora nascosta e repressa. Appare ben difficile, pertanto, che una caratteristica costante nel tempo e nello spazio possa essere classificata quale “devianza”, “errore genetico” o “malattia”.
È verosimile – opinione condivisa da molti autorevoli studiosi – che sia semplicemente una variante della sessualità umana; in altri casi, più numerosi di quel che dicano le statistiche ufficiali, si tratta di una parentesi temporanea, durante la fase della ricerca della propria identità, tra i più giovani, per esempio. In ogni caso, per quel che mi riguarda, ci penserei due volte, prima di classificare tra gli ammalati o i pervertiti viziosi personaggi come Leonardo da Vinci o Michelangelo Buonarroti, tanto per citare due geni assoluti che delle proprie preferenze sessuali non facevano alcun mistero.
Peraltro, non sempre, nella storia del genere umano, l’omosessualità è stata combattuta ed osteggiata: se nella Bibbia, Sodoma fu arsa da Javeh per la corruzione dei suoi costumi, viceversa nell’antica Roma era abituale per ogni maschio adulto frequentare giovinetti prima di contrarre matrimonio eterosessuale, ed in Grecia, addirittura, il rapporto tra uomini era considerato qualitativamente migliore rispetto a quello tra uomo e donna, essendo quest’ultima di per sé un essere inferiore e privo d’anima; le donne, dal canto loro, erano solite allacciare senza pregiudizi tra loro amicizie amorose (Saffo docet).
Sarebbe più logico considerare ciò che – alla luce della nostra attuale cultura, intrisa da secoli di cattolicesimo – appare un fenomeno abnorme, per quel che è: una circostanza tutt’altro che rara, e probabilmente molto meno “innaturale” di quanto si voglia ammettere.
Oggi, accanto alla condanna unanime dell’omosessualità in tutti i paesi musulmani ed in Cina (paesi in cui il reato è punibile con la pena di morte), si registrano, in molti altri paesi, un’accettazione ed una tolleranza sempre maggiori, che in alcuni casi hanno consentito l’adozione di norme legislative in favore dell’equiparazione effettiva; non così in Italia, in cui anzi, recentemente, gli episodi di intolleranza si moltiplicano con una frequenza allarmante. Da più parti si teme che l’accettazione sociale dell’omosessualità possa aprire la strada al disordine ed alla corruzione dei giovani; ma non si riflette abbastanza, viceversa, sulle nefaste conseguenze che la repressione sociale dell’omosessualità ha comportato e continua a comportare: dai matrimoni forzati ed infelici, alla doppia vita di tanti padri e madri di famiglia, dalle persecuzioni vere e proprie dei regimi fascista e nazista, sino alla ricerca di rapporti occasionali e clandestini che non turbano la pace sociale, ma sono essi sì pericolosi socialmente e dal punto di vista sanitario.
Per quanto poi riguarda i giovani, si giunge al ridicolo, quando si vieta la messa in onda di un garbatissimo bacio tra cow boys sulla tv in fascia protetta: la stessa fascia su cui quotidianamente vanno in onda stupri, assassinii cruenti e scene di efferato sadismo, senza che nessuno batta ciglio. In Italia vige poi un patto, neppure tanto segreto, tra potere politico ed istituzioni ecclesiastiche, che, pur accogliendo al proprio interno tanti omosessuali, e pur esprimendo di fatto, all’interno delle concrete comunità pastorali e parrocchiali, un diffuso spirito, di tolleranza e d’accoglienza nei confronti dei “diversi”, ufficialmente stigmatizzano e combattono l’omosessualità, sino ad impedire l’attuazione di una legislazione che inquadri e regolamenti il fenomeno, sulla falsariga di ciò che hanno da tempo fatto molti paesi europei. È necessario che qualcuno rifletta molto seriamente sulle proprie responsabilità, se nel nostro civilissimo paese, culla del diritto, non si riesce neppure a varare una leggina che difenda gay e lesbiche dalla violenza gratuita e folle di orde di fanatici.
Gay e lesbiche che, malgrado preferiscano nel proprio letto i propri simili – non dimentichiamolo – sono cittadini di quell’Italia che ha voluto, nella propria carta costituzionale, l’esplicita tutela dei diritti di tutti, a prescindere da sesso, età, status sociale e religione. O sono anch’essi, come recitava il titolo di un bellissimo film di qualche anno addietro, in fondo, per tutti noi, “figli di un dio minore”?