LA NUOVA POLICY DEI MANAGER
Dal pugno di ferro ai rapporti di collaborazione con i dipendenti
Marcello Pagliuso
Voglio essere un provocatore: “…Che sia la volta buona che “qualcuno” impari a creare “ricchezza” invece che depauperarla, perché se è vero che il patrimonio di una nazione risiede nella gestione e nello sviluppo delle “Risorse umane” allora la classe dirigente non può non ritenersi responsabile nel processo di sviluppo di un intero sistema economico”.
Le regole per essere un buon manager, indipendentemente dal campo in cui si opera, dovrebbero essere ben chiare a chi esercita funzioni di comando, a tal punto che, la padronanza di queste, potrebbe far ritenere “qualcuno” assolutamente in grado di definirsi all’altezza del ruolo. Queste potrebbero, per esempio, racchiudersi in quattro semplici prerequisiti che non dovrebbero mai mancare nella mente di chi esercita una professione manageriale.
Il primo elemento potrebbe essere costituito dall’insieme di mansioni, ovvero i compiti che ogni professionista deve svolgere con efficacia: un corpus di conoscenze specialistiche che potranno essere apprese ed eventualmente insegnate. Il secondo elemento potrebbe essere rappresentato dagli strumenti che ogni professionista dovrebbe padroneggiare con sempre maggiore sicurezza.
Come per le mansioni, anche l’uso degli strumenti potrà essere appreso attraverso la pratica e l’esercizio costante e sistematico dei mezzi di lavoro orientati da precise metodologie. I principi sono, invece, delle regole da rispettare, se si è intenzionati, seriamente, a divenire dei professionisti e che, in quanto tali, richiedono un’abitudine all’autodisciplina. Che non è innata ma che può essere appresa. Questo potrebbe essere il terzo fattore chiave. Infine, ma non ultimo per importanza, potremmo considerare la responsabilità, elemento collegato alla dimensione etica del lavoro, intesa come assunzione di meriti o colpe rispetto a ciò che deve essere realizzato, garantendo risultati ed un atteggiamento positivo nei confronti della propria azienda o del committente.
Concluderemmo l’analisi affermando che: “Se una persona, dunque, decidesse di intraprendere la strada del management, indipendentemente da doti e inclinazioni naturali, dovrebbe, almeno, tenere sempre in considerazione questi quattro elementi per operare con efficacia, efficienza e credibilità nella propria organizzazione”. Però, oggi, tutto questo non basta! “La condizione” è necessaria, ma non sufficiente per essere un “buon capo”. Da recenti ricerche, risulterebbe, infatti, che nell’attuale business world, la figura del “capo” autoritario, che non si preoccupa dei suoi dipendenti e si limita ad esercitare la propria autorità, è out.
Si è diffuso invece un nuovo stile manageriale: il modello partecipativo. In cosa consiste? Un completo “stravolgimento” nell’assetto dei ruoli aziendali. È importante che il manager possieda capacità interpersonali, coinvolga il proprio staff nel prendere delle decisioni, conosca le aspirazioni dei dipendenti per svilupparne gli interessi. La chiave del successo è la motivazione, derivante dai riconoscimenti e dal contatto umano. Sono queste le azioni e le qualità di un vero leader nell’attuale mondo degli affari. Il manager ideale deve assumere un comportamento che invogli ed ispiri i dipendenti, crei un ambiente di lavoro produttivo e accogliente. Il dirigente non dovrà mai dimenticare di trattare con rispetto e dignità i suoi dipendenti.
Il nuovo “modello” sembrerebbe porre, dunque, una tassativa inversione di rotta nella gestione nelle capacità gestionali e relazionali dei manager che si trovano, oggi, ad affrontare le sfide di domani, in un contesto sempre più competitivo e sempre meno prevedibile, in cui, ormai, il “ruolo” del “despota tiranno” genera solo tensioni, attriti e disaggregazioni nel team di lavoro, oltre che scarni risultati, anche nel breve periodo, a discapito solo dello sviluppo e della crescita di qualsiasi azienda o istituzione. Ai nuovi dirigenti, quindi, l’invito ad “aggiornarsi” verso una nuova “cultura manageriale”, affinché si possano concretamente raggiungere i “migliori” risultati.
L’impegno richiesto consiste nel fissare, sin dall’inizio, congrui metodi di comunicazione ed ascolto nel team di lavoro e nell’instaurare un clima sereno per una pacata e tranquilla convivenza lavorativa tra “soggetti diversi” che più coinvolti nello svolgimento delle proprie mansioni – a partire dalla pianificazione degli obiettivi – ne possano apprezzare in modo consapevole le “responsabilità”. Ogni membro dovrà percepire l’importanza del contributo lavorativo che gli è richiesto, dovrà, infine, “vivere” il senso di “appartenenza” ad una squadra nella propria realtà operativa, al fine di raggiungere l’obiettivo comune: “la crescita e lo sviluppo professionale personale” e “l’ampliamento, nel tempo e nello spazio, della realtà aziendale”.