I PROBLEMI DEL SUD MAI RISOLTI
Carmine Spadafora
Parlare del Sud può essere facile, come fanno i nostri politici di destra o sinistra alla vigilia di ogni consultazione elettorale: promettendo sviluppo e occupazione, illudendo soprattutto i giovani con promesse mai mantenute.
È probabile che la crisi finanziaria in corso e la preoccupazione per la recessione appena iniziata – ancora poco prevedibile nei suoi esiti – incida negativamente sulla situazione già grave del Sud. Forse, riflettendo bene, però, i problemi del Mezzogiorno, al di là da tutte le teorie, nascono anche dalla mentalità dei meridionali, che dovrebbero cambiare il modo di progettare e di fare impresa, facendo ricorso alle proprie risorse, senza chiedere, come obbligo, aiuto al potente di turno.
Non a caso, il monito del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in visita in Calabria il 15 e il 16 gennaio 2009, si è concentrato proprio su questo aspetto: “Le regioni del Sud devono superare ogni forma di inerzia e di stanca gestione dell’esistente”, ha detto il Presidente. Non poteva mancare, inoltre, da parte del Capo dello Stato, anch’egli meridionale, un invito accorato ai cittadini del Mezzogiorno “ad andare oltre lo scoramento” e, soprattutto, a superare le “deleterie contrapposizioni tra Sud e Nord, come pure delle vecchie e nuove sordità verso le esigenze delle aree più deboli”. È stato anche forte l’incoraggiamento di Napolitano rivolto alla società civile e agli imprenditori a “ reagire ai ricatti e alle minacce della ‘ndrangheta e di tutte le mafie”.
Appello molto sentito, quest’ultimo, anche se altrettanto difficile da attuare. Dal mio punto di vista, sarebbe necessario riflettere con serietà sulle parole del Capo dello Stato. Si potrebbe partire da qualche mea culpa. Considerando le ricchezze che madre natura ci ha regalato, è vero che non siamo stati capaci di sfruttarle adeguatamente.
Siamo riusciti a sperperare denaro pubblico – e non solo negli ultimi anni – ma anche fondi europei, sciupati, o peggio, finiti in mano ai soliti gestori di turno del male affare, senza creare né posti di lavoro né, tanto meno, sviluppo. Abbiamo assistito ad un innalzamento del livello di disonestà – già alto – e ad un moltiplicarsi delle inchieste della Magistratura sugli scandali al Sud. Non è proponibile continuare a credere di essere sempre e solo vittime.
Qualcuno dovrà, prima o poi, assumersi la responsabilità di riconoscersi parte di un sistema di corruzione, anche solo perché spettatore passivo. Non c’è giorno che gli organi di informazione non denuncino uno scandalo: sanità, edilizia pubblica, rapporti di collusione o peggio, di connivenza tra potere politico e malavita organizzata.
L’attuale maggioranza di Governo, intanto, ormai rassegnata al declino meridionale, neppure prova a suggerire qualche soluzione alla crisi del Mezzogiorno (non è un mistero, d’altra parte, il Ministro Tremonti non ha mai creduto nelle possibilità di recupero del Sud!), tenta piuttosto di far passare qualche proposta leghista, tipo quella di impedire ai giovani dei Sud di partecipare ai concorsi nel Nord. Lo stesso Settentrione d’Italia, che si è avvalso del lavoro di tanti meridionali per innovarsi e potenziarsi economicamente e strutturalmente sembra aver dimenticato ogni cosa, un po’ afflitto da politiche populiste dilaganti e, in parte, rinchiuso in un fortino presidiato da scadenti localismi. Allora tocca a noi, abitanti del Sud, mettere in campo ogni volontà di cambiamento. Occorre, scrollarsi di dosso quel senso di subalternità e di vittimismo che, spesso, ci caratterizza ed impegnarci facendo leva sulle nostre migliori capacità.
Essere credibili significa anche fornire ai nostri interlocutori elementi evidenti per valutarci. È necessario, quindi, mettersi in moto, riacquistare fiducia nelle sane iniziative imprenditoriali, investire sui nostri giovani, per costruire insieme un futuro migliore.