LA VIOLENZA NELLO SPORT
Lucia Ranieri
Nella società contemporanea lo sport, oltre a produrre spettacolo con azioni sportive esaltanti, manifesta violenza ed aggressività. L’aggressività è, da tempo, parte dell’ambito sportivo; nello sport, infatti, l’aggressione non solo è tollerata, ma è anche da molti approvata con entusiasmo.
Negli ultimi tempi però la violenza in campo e fuori degli stadi è diventata un problema sociale rilevante che vede protagonisti non solo gli atleti, ma anche allenatori e spettatori. L’aggressione è definita come comportamento ostile che si esprime a livello fisico, verbale o gestuale con l’intento di recare danni ad altri. La violenza è riferita specificamente alla componente fisica dell’aggressione e, nello sport, si manifesta con infrazione del regolamento. Lo sportivo cerca di dominare l’avversario senza arrecargli danno e nel rispetto delle regole, ma, quando tale comportamento non è teso in tal senso, si determina violenza ed è un cattivo esempio che spesso viene imitato e, purtroppo, non osteggiato soprattutto da chi osserva tale atteggiamento (i tifosi, per esempio). Le persone che assistono a uno sport aggressivo tendono a diventare a loro volta aggressive; i tifosi si sentono aggressivi, vedono o sentono aggressione e quindi agiscono aggressivamente.
Un soggetto o un dato gruppo di persone, in genere, è portato a comportarsi come gli altri anche quando non è del tutto convinto, il che significa che gli istinti sono contagiosi tanto più quanto ci sono molte persone coinvolte. Il gruppo tende a condizionare l’individuo fino a fargli perdere la sua identità. Ciò non giustifica il tifo, ma, in tale atteggiamento, si può individuare una disperata ricerca di identità di ragazzi che non riescono a trovare altri modi di esprimersi, allora il tifoso rappresenta un modello di eroe, con un suo caratteristico abbigliamento, con i suoi slogan, con le sue dimostrazioni di virilità e di coraggio; nelle interviste agli ultras, infatti, alcuni hanno detto: “è meglio essere tifosi d’assalto e cattivi piuttosto che nessuno!”. Si potrebbe, forse, dire che chi entra nel ruolo di tifoso ultras trova una identità già predisposta con il suo corredo di norme, valori e ragioni.La costante ricerca di protagonismo che spesso si evidenzia nella nostra società odierna viene accentuata dalla cronaca giornalistica, che con il suo pubblicizzare tali eventi, mitizza agli occhi dei giovani, la figura dell’ultrà. Uomo duro, temuto e passionale e in molti casi violento.Il tifoso violento è caratterizzato dalla spasmodica ricerca della tensione emotiva, piuttosto che la riduzione. Infatti, è evidente che niente di meglio delle eccitazioni provocate dalle situazioni antagonistiche, incalcolabili e coinvolgenti della partita, può offrire a tante persone l’occasione di potersi dare alla disinibita emozione eccitante. Allora l’aggressività, le zuffe, i vandalismi, gli scontri costituiscono gli effetti di un bisogno psicologico domato dalla ricerca di forti sensazioni.La necessità di sfogarsi, in qualsiasi modo, rende quasi giusto, (nella psiche di questi violenti), comportarsi in un dato modo. Gli atti violenti in realtà sono l’esplosione di profonde frustrazioni sociali. Gli stadi diventano parafulmini per scaricarle.
Le manifestazioni sportive, dunque, sarebbero “bersagli sostitutivi” per frustrazioni motivate da problemi economico-sociali molto più grandi della frustrazione derivante da una sconfitta sportiva. Il tifoso sarebbe la conseguenza degenerativa di una società che evidenzia, esalta e premia solo colui che vince o che ottiene successo, a prescindere dai mezzi impiegati per raggiungerlo, adottando il principio discutibile secondo cui “il fine giustifica i mezzi”.
Allora la soluzione sarebbe quella di privarci gli sport aggressivi?
Non credo che questa sia la soluzione.
Forse bisognerebbe educare al vero spirito sportivo: saper perdere con dignità, riconoscendo il valore dell’avversario, gareggiare per misurare se stessi, come mezzo per migliorarsi, non per voler battere l’altro a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, in altre parole accettare che “il fine giustifichi i mezzi” porterebbe all’annullamento della vita civile. In una società dove la moralità va man mano sparendo e i modelli da seguire spesso vengono soppiantati da falsi miti, bisognerebbe trovare la forza di cambiare rotta, di educare i nostri figli nel rispetto delle regole e soprattutto nel rispetto degli altri, rafforzando in essi il concetto di società civile.A tale obiettivo deve puntare la società del domani e forse un giorno riusciremo a praticare o vedere uno sport anche dal carattere aggressivo, senza ricercare in esso valvole di sfogo sociale.