PUBBLICHIAMO PARTE DELL’INTERVISTA RILASCIATA DAL SEGRETARIO RESPONSABILE DI FALCRI UBI, EMILIO CONTRASTO, AL REDATTORE ECONOMICO DI MEZZOEURO, DOTT. ORESTE PARISE, SUL PROBLEMA DEL CREDITO NEL SUD.
D. In che modo l’equilibrio nella struttura bancaria nel Mezzogiorno influenza la politica del credito. In particolare, quale sarà l’impatto della prossima entrata in vigore delle norme di Basilea 2?
R. Non parlerei di Basilea 2 che detta regole generali che vanno comunque applicate a tutto il sistema del credito. Anche le banche locali sono, quindi, tenute ad uniformarsi, costringendo le aziende clienti ad attenersi. Ricordiamo che si tratta di applicare coefficienti oggettivi di patrimonializzazione, di copertura, di modalità di accesso al credito.
D. C’è però una grande preoccupazione per l’approssimarsi della scadenza del 1 gennaio prossimo, per la temuta restrizione del credito. Queste misure incidono in maniera molto più stringente nel Mezzogiorno dove vi è una sotto capitalizzazione endemica. Quale ruolo gioca l’assenza di una importante banca locale?
R. Basilea 2 è un processo normativo che coinvolge il sistema del credito nella sua interezza. Credo quindi che da questo punto di vista l’essere una banca del territorio non influenza significativamente la politica del credito. Da un punto di vista dei requisiti richiesti alle imprese cambia poco o nulla, poiché essi sono fissati nella norma e non possono essere gestiti discrezionalmente.
D. Questo è vero, ma l’applicazione della norma può essere più o meno morbida, ci può essere più attenzione per la specificità del sistema imprenditoriale meridionale, avere la capacità di leggere le sensibilità del territorio?
R. Considerando in modo rigido il dettato normativo, di fatto Basilea 2 costituisce una rivoluzione nel modo di concepire il rapporto banca-impresa. La rigidità della norma abbatte di molto la discrezionalità e mortifica la flessibilità del rapporto. L’attività bancaria assume un carattere rigido, automatico. Nel vecchio modello era strategico il ruolo del direttore/gestore che doveva imparare a conoscere i propri clienti, ad instaurare dei rapporti diretti, cercando di interpretare i loro bisogni. Oggi non è già più così ed ancor meno lo sarà dal primo gennaio prossimo. La valutazione delle aziende si baserà su dei meri coefficienti tecnici, desunti dai dati di bilancio, che sono degli elementi rigidi, asettici. Si elimina completamente l’elemento soggettivo – e discrezionale – nella valutazione. Se noi ragionassimo in modo pedissequo in termini di Basilea 2 e l’applicassimo in maniera automatica, la concessione creditizia diventerebbe un fatto completamente automatico, con una limitata discrezionalità nell’ammontare e senza poter influenzare le condizioni di accesso.
D. Ma in qualche modo gli effetti della cancellazione del sistema creditizio meridionale si sono fatti sentire, tanto che si era avanzata l’ipotesi di una “Banca del Sud” …?
R. Ne parlava Tremonti. Ma lo scopo di Basilea 2 è proprio quello di eliminare dal processo di valutazione qualunque tipo di riferimento soggettivo. Basilea 2, se venisse applicato letteralmente, dovrebbe eliminare il gap – nel delicato comparto dell’erogazione del credito – tra la banca locale ed il resto del sistema operante sul territorio. La funzione della banca locale o, meglio, del territorio dovrebbe essere quella di conoscere e gestire quel mercato adeguando a livello generale le politiche gestionali alle specificità del territorio. Conoscendo ad esempio la debolezza patrimoniale delle imprese essa dovrebbe attivarsi per incontrare i Consorzi Fidi e concordare con essi una linea di azione. In altri termini, dovrebbe essere in grado di svolgere un ruolo attivo nel processo di preparazione ed assistenza delle imprese clienti ad adeguarsi alle norme rigide imposte da Basilea 2, anche allo scopo di rendere economicamente più agevole e sostenibile il ricorso al credito.
D. Se questa è la situazione desta qualche preoccupazione l’approssimarsi della scadenza. È un aspetto di cui non si discute abbastanza considerati i possibili effetti restrittivi. Cosa succederà concretamente?
R. Intanto diciamo che il problema riguarda l’intero Paese, anche se nel Sud l’impatto potrebbe essere molto più dirompente. Nel Sud già vi è una minore propensione al credito da parte del sistema bancario e temo che con l’entrata in vigore di Basilea 2 il problema sia destinato ad acuirsi, poiché le aziende avranno molte difficoltà a soddisfare le loro esigenze di credito e l’assenza di banche effettivamente vocate al territorio ed alle sue esigenze non consentirà di immaginare ed attivare concreti ed efficaci strumenti di correzione del modello.
D. Ma se la diagnosi è evidente, non è possibile immaginare una terapia?
R. La risposta andrebbe trovata innanzitutto nel sistema delle garanzie, che possono effettivamente aiutare le aziende a superare l’ostacolo e poi nel pretendere che le aziende creditizie svolgano effettivamente il loro ruolo sul territorio non preoccupandosi esclusivamente di logiche reddituali interne. Le debolezze sono strutturali e non è pensabile che possano risolversi improvvisamente e da sole.
Il riferimento è ai Consorzi Fidi, che incidono sul quadro delle garanzie, ma lasciano inalterati i requisiti richiesti dalle valutazioni automatiche. Le aziende continueranno ad essere molto carenti sotto il profilo patrimoniale e reddituale. Se una azienda non ha un adeguato profilo reddituale viene meno uno dei presupposti per la concessione quando parliamo di credito legato ad un processo produttivo. Una azienda che non ha i requisiti minimi reddituali non ha la possibilità di remunerare neanche i fattori produttivi propri e non potrà certo accollarsi i costi del credito, né può dare alcuna prospettiva di rimborso poiché la gestione aziendale non genera cash-flow.
D. Ma il problema che si pone non è tanto il possesso o meno dei requisiti reddituali, ma la sua capacità di dimostrarlo. Sembra accettato da tutti la forte incidenza del sommerso, la sottofatturazione quasi generalizzata delle aziende meridionali. I bilanci, i rendiconti sono generalmente falsati poiché non tendono a rappresentare fedelmente la condizione reale dell’azienda, ma sono finalizzate alla definizione del loro rapporto con il fisco. L’imprenditore meridionale sembra non avere alcun interesse a conoscere lo status aziendale, ma a minimizzare le imposte. L’obiettivo della contabilità è di sottrarre al fisco quanto più imponibile possibile. Questa sfasatura crea problemi con le banche, con i fornitori. Molto spesso anche aziende floride presentano situazioni contabili disastrose. Come uscire da questo paradosso?
R. L’esempio che viene in mente è quello della botte piena e della moglie ubriaca. Non si possono avere entrambe… Qui non si tratta di un problema squisitamente bancario, poiché coinvolge il modo di essere del nostro sistema imprenditoriale. Le aziende che hanno necessità di ricorrere a mezzi di terzi per finanziare la loro attività dovrebbero mettere in conto che l’accesso al credito richiede una serie di requisiti. È un problema essenzialmente culturale. Non credo che una banca possa risolvere questo dilemma poiché è anche essa tenuta al rispetto della normativa, di qualunque natura essa sia.
D. Ma può svolgere una funzione pedagogica, dialogare con gli imprenditori e con i professionisti rappresentando quali siano i comportamenti idonei a superare questo gap?
R. Questo è un compito di tutte le banche, anche se le banche con un forte radicamento territoriale hanno una maggiore possibilità di dialogo e di confronto. Se affrontiamo il problema sotto il profilo gestionale il ragionamento è ancora diverso. Essere banca territoriale significa capire il territorio, entrare in simbiosi con esso, avere stretti legami con i referenti locali e dell’economia e delle parti sociali. Esse sono in grado di instaurare dei rapporti di collaborazione con gli agenti locali. La banca locale deve sapere anticipare le esigenze e preparare in anticipo il terreno per l’inseminazione normativa evitando che si producano poi frutti amari e, soprattutto, che il mercato e gli operatori si presentino impreparati ai nuovi eventi.
D. In che modo può svolgere questo ruolo?
R. Mettendo in campo una serie di prodotti, attività e funzioni che siano in grado di soddisfare le mutate esigenze indotte dai cambiamenti normativi. Il Sud non è uguale al Nord, questo è un dato storicamente indubitabile. Si parla di unità dei mercati, di globalizzazione… La nostra economia è debole, le esigenze delle imprese calabresi non sono identiche a quelle di Milano o di Bergamo. Qui abbiamo un tipo di approccio che è completamente diverso anche nelle procedure. Consideriamo, ad esempio, un tipico risparmiatore settentrionale. Quando va in banca ha già in mente l’investimento che vuole porre in essere. Ha già metabolizzato i nuovi strumenti, per cui il tradizionale libretto o certificato di deposito è diventato quasi un pezzo di antiquariato. Il risparmiatore del Sud è molto più conservatore e si affida al suo dipendente bancario di fiducia il quale, a sua volta, si sente anche direttamente coinvolto nella scelta del cliente in quanto direttamente coinvolto.
D. Anche qui però vi sono stati profondi mutamenti?
R. Non vi è dubbio, ma persiste una quota significativa di risparmio che si avvale di strumenti tradizionali. Se guardiamo il mondo delle imprese, questa differenziazione è ancora più evidente e strutturale, anche a causa della piccola dimensione della media degli operatori economici meridionali che per questo motivo si presentano strutturalmente carenti sul lato della formazione e delle conoscenze.
D. Torniamo ai bilanci, o meglio al modo in cui vengono confezionati. La rappresentazione disastrosa che rappresentano è certo una delle cause principali del divario di trattamento che viene spesso lamentato dalle imprese meridionali. Alla fine un prezzo lo si paga lo stesso. Il gioco vale la candela? Il rapporto con le banche non sarebbe più facile se le aziende avessero imparato a confezionare dei bilanci “true and fair”?
R. Sembra che nel Sud siamo di fronte ad una serie di aziende che, per definizione, presentano bilanci che mostrano margini minori di attività/profitto rispetto ad analoghe aziende operanti al Nord. Io non penso che sia così. Qui c’è innanzi tutto un vero e strutturale problema di mercato. Per tutta una serie di motivi – infrastrutture, ubicazione, gestione, aspetti sociali, politica – rappresenta oggi un dato oggettivo e assodato che una impresa del Sud parte comunque svantaggiata rispetto ad una analoga concorrente del Nord. Oserei dire che, a parità di condizioni, una impresa del Nord è effettivamente meno performante di una del Sud, perché qui un imprenditore deve affrontare tutta una serie di problemi che si traducono in un notevole aggravio di costi.
D. Ma allora perché una azienda del Sud paga mediamente di più il denaro?
R. Per le ragioni dette. Gli oneri propri ed impropri che una impresa del Sud deve affrontare si ripercuotono sui bilanci, che non sono falsati per ragioni fiscali in misura diversa di quanto avviene al Nord. Le difficoltà ambientali si ripercuotono sulla capacità di rimborso e Basilea 2 trasforma questa difficoltà in un ulteriore aggravio di costo.
D. Torniamo al problema più strettamente bancario. Possiamo affermare che il processo di ristrutturazione del sistema creditizio è terminato o dobbiamo ancora aspettarci altre evoluzioni? Quale potrebbero essere i riflessi occupazionali di questi processi?
R. Molto è già avvenuto, ma è difficile che oggi siamo arrivati ad un nuovo equilibrio. Vi sono processi in atto ed altri potrebbero seguire nel prossimo futuro, anche in virtù delle esternazioni del Governatore Draghi che spinge le banche a ricercare efficacia ed efficienza. L’impatto occupazione è stato fin qui drammatico. Guardiamo ad esempio alla vicenda CARIME. Quando nacque Banca CARIME – e siamo nel 1998 – i dipendenti erano circa 5.500. Oggi, togliendo il numero di coloro che vengono utilizzati dalla Capogruppo per attività proprie, siamo rimasti 2.200 persone ed è in atto un piano industriale che prevede ulteriori tagli. Il trasferimento delle funzioni direttive ed il processo di riorganizzazione hanno comportato una riduzione di personale superiore al 50%. Non dimentichiamo, poi, che siamo nel sud dove il lavoro è e resta la vera emergenza. La preoccupazione principale dei banchieri è soddisfare le esigenze di pochi azionisti. Per ottenere questi risultati sempre più brillanti ed il benessere di pochi eletti si distribuiscono ai manager premi incredibili.
D. Ma il sindacato è favorevole alle “stock option”, vale a dire la distribuzione di azioni quale premio di rendimento per i manager?
R. Assolutamente no. È una forma di incentivazione riservata a pochi eletti, del tutto sproporzionata rispetto all’apporto che essi danno all’azienda, è una forma di remunerazione antisociale. È impensabile che una sola persona possa ricevere una stock option equivalente al costo di un anno di addirittura due/tremila giovani. Si potrebbe capire un premio di carattere accessorio rispetto alla retribuzione. Il sindacato fatica tantissimo per riuscire a ottenere spazi per nuove assunzioni e modesti incrementi salariali per i dipendenti e poi assistiamo a queste elargizioni milionarie. Uno scandalo.
D. Ma qual è oggi la condizione del personale bancario, un tempo privilegiato?
R. Quei tempi sono lontani anni luce. Oggi nelle agenzie si vive un clima di stress per le continue pressioni che deve subire il personale anche per effetto del taglio sconsiderato del numero degli addetti.
I colleghi sono letteralmente con l’acqua alla gola, non hanno più pace, torturati dalla mattina alla sera da “pressanti inviti “ a vendere tutto a tutti. All’interno delle filiali di tutte le aziende di credito si scoppia, è veramente una situazione incredibile e temo che ancora non sia raggiunto il peggio.
D. Ma perché il sindacato non riesce a svolgere il suo ruolo come in passato? Oggi subisce i diktat aziendali …?
R. Vi è in primo luogo un problema di natura squisitamente tecnico. Dieci anni fa tutte le principali banche erano aziende pubbliche o controllate dallo Stato, dove l’azione sindacale veniva maggiormente garantita. Il rapporto con un “padrone” privato è più duro, meno conciliante. Poi è cambiato il mondo. Da qualche tempo l’evoluzione legislativa ha dato nuovi poteri agli imprenditori, indebolendo tantissimo la tutela del lavoro. Il privato decide a suo piacimento, ad esempio, la vendita di un’azienda o di una parte di essa, la cessione della rete sportellare, il ricorso all’outsourcing per alcune attività, l’utilizzo di forme di lavoro flessibile … . L’intervento del sindacato è, quasi sempre, successivo, quando le decisioni sono state già prese. Si è costretti a rincorrere le emergenze, cercando di gestire gli effetti e le ripercussioni sui lavoratori.
D. Anche in Italia i bancari diventeranno i “portoricani”, l’ultimo gradino degli occupati come avviene da tempo in America? Oggi il lavoro è tutto informatizzato e non c’è più necessità di grandi professionalità per svolgere il lavoro bancario.
R. Fermandosi all’attività bancaria operativa quella da Lei descritta è un’evoluzione che si è già quasi completamente realizzata e già si parla del “cassiere elettronico”. In breve tempo il 50-60% dell’attività di tipo operativo potrà essere gestita in modo automatizzato, senza l’intervento di alcun operatore “umano”. C’è però, di converso, una sempre maggiore esigenza da parte dei clienti di avere risposte professionali per districarsi nella giungla dei nuovi prodotti finanziari. Questo apre scenari per la formazione di nuove figure altamente specialistiche. Oggi più che mai la figura del bancario assume quindi una importanza fondamentale per le aziende di credito. La presenza di persone che sappiano offrire apporto e consulenza professionale per affrontare un mercato difficile e competitivo come quello finanziario è il fattore che può fare la differenza nella concorrenza tra le banche.
D. Vi è però l’idea che il bancario si sia ridotto al ruolo di “venditore di enciclopedie”, vende prodotti preconfezionati dove non occorre alcuna competenza, da quelli finanziari alle commodity come vino o abbonamenti calcistici…?
R. C’è qualcuno che nel sistema ci sta provando e ci sta provando di brutto. Ma anche riducendo tutto all’esempio da Lei riportato la necessità di professionalità non ne esce sminuita, anzi. Anche per vendere enciclopedie bisogna saperci fare. Ma bisogna sottolineare i grandi rischi che si corrono a trasformare tutto in prodotti finanziari preconfezionati da vendere indistintamente. Basti ricordare casi come Parmalat, Cirio, i Bond argentini e via dicendo. Non so se il sistema possa permettersi di correre ancora questi rischi.
D. Di recente vi è il caso dei mutui subprime…?
R. Anche quello certo è un “prodotto” finanziario”. La conseguenza è la fila dei correntisti che si accalcano agli sportelli della Northern Rock in Inghilterra: uno spettacolo recente ed inquietante ma anche e soprattutto la dimostrazione evidente che la professionalità in banca non la si può abolire.
D. Ma ricordiamo anche il caso italiano di qualche anno fa. I mutui in ECU hanno lasciato profonde ferite in tanti risparmiatori che si sono visti costretti ad affrontare oneri finanziari non previsti. Tante famiglie si sono trovate a pagare rate più che raddoppiate.
R. Lo stakeholder principale della banca è e resta comunque il cliente. Gli azionisti possono realizzare profitti se il cliente entra in azienda e pone in essere operazioni. Oggi la gente ha paura. Vive una condizione di incertezza ed ha bisogno di trovare dei riferimenti che non possono che essere i tanto depauperati bancari che nel lavoro mettono in gioco anche la loro credibilità personale. Tutto ciò rende oggi, forse ancora più di ieri, la figura del bancario fondamentale. Certamente il modo di fare banca è cambiato. Rispetto a dieci anni fa si è verificata una vera e propria rivoluzione. Questo perché le banche avvertono, per prime, i segnali di cambiamento poiché sono il nervo sensibile della società. Il compito sindacale è necessariamente anche diverso. È quello di fare in modo che la categoria recuperi la condizione di alta professionalità e che non diventi il portoricano cui si faceva riferimento prima.
Le banche stanno ricominciando a fare selezioni e ad assumere e ciò non accadeva più da tantissimo tempo. Il sindacato ha lottato e sta lottando affinché sia salvaguardato il ruolo e la funzione del bancario, il livello normativo e retributivo complessivo e per offrire anche alle nuove generazioni la possibilità di avvicinarsi ed entrare in un settore che, da tempo, sembrava del tutto chiuso.