IN RICORDO DI ANNA POLITKOVSKAJA
Caterina Maida
È trascorso oltre un anno da quel sabato 7 ottobre 2006, quando, poco dopo le 16, a Mosca, in Ulica Lesnaja, venne ritrovato il corpo, barbaramente assassinato, della giornalista Anna Politkovskaja.
Da subito, allo sdegno internazionale si è accompagnato il penoso tentativo, in Patria, di ridimensionare la sua figura e di spegnere la sua voce.
Ma la verità resta indelebile nella storia della sua vita e nelle sue cronache giornalistiche.
In quell’inizio di ottobre, Anna stava lavorando ad un articolo che conteneva una documentata denuncia contro Ramzan Kadyrov (Primo ministro ceceno e pupillo di Putin) e i suoi uomini. Articolo in cui, ancora una volta, avrebbe riportato accuse dirette di torture e trattamenti disumani nei confronti di prigionieri politici e non solo.
Le prime minacce alla sua vita risalgono a molti anni prima, al 2001, anno in cui venne arrestata, torturata e condannata a morte – dopo un processo farsa – quando ormai il tentativo di ostacolare la sua ricerca di verità e “regolamentare” i suoi scritti era risultato inutile.
Dal 1999 al 2006, sulle pagine della Novaja Gazeta, ha dato voce agli “scomparsi”, alla disperazione delle vittime.
Ha denunciato ingiustizie commesse in territorio ceceno e russo.
Ha condotto inchieste sulla corruzione negli apparati governativi e si è impegnata, in prima persona, per portare aiuti umanitari e dare supporto nelle azioni legali ai tanti che le chiedevano aiuto per ottenere rispetto per i propri diritti calpestati.
Con la coerenza che ha sempre contraddistinto il suo operato non ha risparmiato critiche alle politiche occidentali di solidarietà e sostegno dei diritti civili, che troppo spesso scontano il prezzo degli interessi economici dei singoli Stati.
“A volte la gente paga con la vita per dire ad alta voce ciò che pensa.”
E come se non bastasse il suo impegno per i diritti civili, per la libertà di parola, le sue denunce coraggiose, il suo giornalismo limpido e indipendente, Anna Politkovskaja ci ha lasciato un’altra grande lezione, sul potere e l’uso della parola.
Un insegnamento, oggi, più che mai prezioso, considerando l’amplificazione univoca che viene, quotidianamente, attuata dai messaggi mediatici. Parole utilizzate per non dire, per manipolare le opinioni, per nascondere la verità.
“Io vivo la mia vita e scrivo ciò che vedo.”
Ricordiamola con l’immagine che il collettivo della redazione della Novaja Gazeta le ha dedicato sul sito del giornale:
“Era bella e con il passare del tempo diventava sempre più bella, perché il volto lo riceviamo da Dio come materiale grezzo, ma poi ce lo scolpiamo da soli.
In età adulta, dal viso inizia a trasparire l’anima. E lei aveva un’anima bella.”