COMING HOME
Alba Coscarella
In piena globalizzazione, quando da Mac Donalds si comprano hamburger e modi di essere; quando il pensiero è troppo faticoso per essere praticato e risulta senz’altro più semplice leggere un giornale per scoprire che opinione abbiamo su un qualsiasi avvenimento, tornare a casa significa fare un viaggio all’interno dello scenario più sconosciuto che esista: la nostra anima.
A questo scopo utile, se non certamente indispensabile, risulta calarsi in una realtà distante anni luce dalla nostra e l’Oriente, sicuramente, corrisponde a tale esigenza.
Recarsi in India, ad esempio, significa confrontarsi con una filosofia di vita, talmente distante dalla nostra da risultare per noi occidentali – in base alla nostra capacità di comprendere – disgustosa o emotivamente devastante.
Il mio modo di vivere questa esperienza – per quanto soggettivo possa essere considerato il mio punto di vista – è facilmente riconducibile alla seconda categoria, tanto che – in maniera del tutto inusuale – come sanno quelli che mi conoscono bene, per settimane non sono riuscita a parlarne.
Daumal, nel suo libro sui poteri della parola, apre la disquisizione filosofica sull’importanza della comunicazione verbale con la frase “non si può raccontare il fatto”: contraddizione in termini? No, semplice constatazione del fatto che il potere della parola si deve arrendere alla forza dell’emotività che se è autentica è rigorosamente muta.
Sicuramente nessuno di noi occidentali, distratti e superficiali come siamo, riesce a rendere a parole il rapporto totalizzante che questo popolo ha con il sacro e con la propria interiorità.
Assistere a Benares alle abluzioni purificatrici che quotidianamente gli indiani compiono, al sorgere ed al calare del sole per iniziare e concludere degnamente una faticosa giornata, ha dell’incredibile.
Dalla nostra barca al largo del Gange assistiamo a questo rito antico e tremendamente contemporaneo che uomini e donne, di ogni età e di ogni estrazione sociale, compiono calandosi in un’acqua che definire marrone è sicuramente un eufemismo, ad un passo dal più grande centro crematorio della città e, conseguentemente, con un continuo via vai di resti organici resistenti al fuoco, che i parenti del defunto affidano alla grande madre perché li conduca nell’aldilà.
Qualche metro più in là i bambini giocano nell’acqua, come i loro coetanei di tutto il mondo e, ancora un po’ più discosto, un pescatore lancia la sua lenza.
Lo scenario appena descritto ci spinge a bere solo acqua minerale e a non mangiare pesce, mentre tutti noi aggiungiamo un capitolo all’enciclopedia delle banalità esprimendo con gridolini, assolutamente insulsi e fuori luogo, la nostra incapacità di comprendere come si possa vivere così.
Questa dotta elucubrazione ci distrae dall’osservare l’espressione appagata e serena delle persone che si “calano” – ed è proprio il caso di dirlo – nell’esoterico e nella spiritualità e che, caricati nell’animo, si accingono ad iniziare e/o a concludere una giornata spesso fatta di nulla, di miseria, di accattonaggio, di taccheggio; una giornata offerta con totale dedizione al Dio che tutto sa e che la Sua infinita misericordia concederà a tutti loro di ritrovarsi l’indomani sulle rive del Gange perché tutto ricominci in armonia col creato.