MA IL COCCODRILLO COME FA..?
Alba Coscarella
È successo ancora, lo scorso 17 settembre, in Afganistan, dove hanno perso la vita sei militari italiani, paracadutisti della Folgore.
Ancora una volta un lutto, ancora una volta bandiere a mezz’asta, ancora una volta immagini struggenti di familiari distrutti dal dolore. Ancora una volta la retorica di bandiera ha sciorinato il meglio del suo repertorio ad uso e consumo di chi, come noi, non sa resistere alla visione del dolore e rimane incollato al televisore per ore in attesa quasi spasmodica dello strazio mediaticamente diffuso. Ancora una volta…silenzio, motore, si gira. Ed ancora una volta va in scena un copione talmente collaudato che nulla, ma proprio nulla va o potrebbe andare in modo diverso da come è stato sceneggiato.
Le bare arrivano, i congiunti piangono. Un bambino – dalla morte di Kennedy c’è sempre un bambino in prima fila sulla bara del padre – dignitosamente, indossando il berretto del padre, abbozza un saluto militare e, possibilmente, piange, meglio se silenziosamente. Questa dovrà rimanere l’immagine simbolo, il ricordo indelebile di una giornata dedicata, istituzionalmente al dolore.
La guerra del Vietnam ha come simbolo un bimbo nudo che corre verso i soldati americani pensando di salvarsi. La guerra di Bosnia ha immortalato un bimbo che si affaccia spaurito dalle macerie di quella che potrebbe essere stata la sua casa. Sempre e comunque bambini. Perché i bambini fanno tenerezza: alla faccia della Carta di Treviso.
Anche durante il rito religioso la regia esperta non commette errori. Un’omelia che riesca a dosare gesuiticamente le parole in modo da dire e non dire, esecrare quanto successo senza condannare nessuno; la dovuta panoramica sulle autorità schierate in prima fila, affinché tutti possano vedere che nessuno – ma proprio nessuno – dei rappresentanti dello Stato manca all’appello. Ed infine … gli applausi. La gente libera l’adrenalina accumulata in un “lungo, sentito, partecipato” applauso. Sipario. Come direbbe qualcuno: “Omnia Facta Sunt”. Tutto è compiuto. Il grande spettacolo è terminato, o, meglio, sospeso fino alla prossima replica…perché tanto una prossima replica non mancherà di arrivare. È solo questione di tempo.
Le frecce tricolori spengono i fumogeni, la gente torna a casa, solo il dolore – quello vero, privato e non condivisibile – rimane accanto ai superstiti e solo loro continueranno a chiedersi perché. Già…! Perché una missione di pace produce tanti morti ammazzati da fuoco avverso? Qualcuno ha forse dimenticato di dire a questa gente che siamo amici? Perché ad un errore, di fondo, continuiamo ad accumularne altri? Perché una missione iniziata non può essere, non dico conclusa, ma almeno sospesa? Sicuramente, essere consequenziali sulla pelle degli altri non è difficile, il difficile è mandare a “fare la pace” qualcuno a cui noi teniamo. Certo la missione è di pace, se ci fossero dei dubbi, le ultime parole dedicate ai sei ragazzi della Folgore morti di troppa pace, sgombrerebbero il campo ad ogni incertezza. Infatti che: “RIPOSINO IN PACE”.