SOTTO IL TAPPETO
Emanuela Frosina
Premetto che non abito in una metropoli né in una zona ad alta emergenza criminalità, se si eccettua la criminalità di tipo mafioso.
La mia opinione potrebbe, pertanto, essere viziata alla base, da un’esperienza limitata. Tuttavia, mi è molto difficile allontanare la netta impressione che in questa faccenda del lavavetri, esplosa in un’estate sonnacchiosa ed alla ricerca di sensazioni forti ‑ vedi vicende allucinanti di cronaca nera ‑ ci sia un po’ di esagerazione e molto strisciante perbenismo. Certo, è spiacevole per tutti imbattersi nel rumeno o nel senegalese di turno che, agguanta, sfacciatamente, i tergicristalli della tua auto, ad ogni sosta ai semafori e pretende un’offerta. Ma, a parte il fatto che esistono i dispositivi bloccanti per gli sportelli, a scanso di eventuali violenze, in genere, l’atto, sia pur petulante ed imposto, non oltrepassa la soglia del fastidio. Le violenze vere sono pochissime, in rapporto alla mole degli episodi di questo tipo che si verificano quotidianamente, in ogni città italiana.
Il danno economico per le nostre pasciute tasche di occidentali è, di solito, davvero trascurabile: pochi miserabili spiccioli per lo straccione che ha osato turbare la nostra quieta guida e che, pur di ottenerli è disposto a trascorrere in piedi nove dieci ore al giorno e a subire, in genere senza fiatare, imprecazioni d’ogni tipo.
Un cronista di un quotidiano a tiratura nazionale ha provato, per una volta, a vivere ed a raccontare la giornata di un lavavetri. Ne è scaturita un’amara e bella testimonianza, a ricordo d’un giorno che lo ha visto insultato dai clienti, minacciato dagli stessi colleghi di lavoro ed a fine giornata sfinito, con ben quaranta centesimi in tasca.
Davvero la dimensione del problema si meritava ordinanze d’arresto da parte di amministrazioni comunali e le prime pagine di tutti i giornali e telegiornali?
Certo, gli amministratori hanno giustamente sottolineato che certe situazioni bisogna viverle per comprendere la rabbia e il disagio dei cittadini, ed è anche vero che molti dei lavavetri sono solo gli ultimi anelli di una lunga catena di sfruttamento.
Non mi pare, però, che l’arresto dei lavavetri, così come l’allontanamento coatto dalla famiglia dei piccoli ROM costretti a mendicare, la detenzione nei CPT ‑ lager dei clandestini giunti sulle carrette del mare – le infinite file davanti agli uffici postali degli immigrati, desiderosi di “regolarizzazione”, siano misure idonee a consentire una pacifica integrazione ed una corretta accoglienza.
Ciò che, invece, emerge con evidente chiarezza è la nostra crescente insofferenza, la nostra incapacità di mediare e comprendere, dovuta, certo, a leggi inefficienti e manchevoli, ma anche e soprattutto – a mio avviso – al sotterraneo razzismo serpeggiante in tanta parte della brava gente italica, e più ancora, al nostro desiderio di non vedere e non sentire, per dimenticare le nostre responsabilità.
L’importuna presenza dei lavavetri ci ricorda, ogni giorno, che il nostro elevato tenore di vita è costruito e consentito dalle intollerabili condizioni di vita di due terzi del mondo; meglio che i lavavetri vengano allontanati e rinchiusi, così come le prostitute che sconciamente adescano i clienti per le strade.
Lungi dal voler davvero affrontare cause ed eventuali soluzioni dei problemi, ci avviamo allegramente a nasconderli, come le pigre massaie nascondono immondizia sotto il tappeto. Tacciatemi pure di populismo a buon mercato e di demagogia, ma l’accattone fermato della polizia e condotto in galera mi provoca soltanto una profonda vergogna.
Compito d’un Paese civile, degno di tal nome, sarebbe la raccolta dei dati anagrafici completi, l’accoglienza in case famiglia, la sottrazione allo sfruttamento e, possibilmente, il regolare inserimento nel mondo del lavoro dell’accattone.
L’obiezione è scontata: non ci sono soldi. Però, nell’ultimo anno, il nostro Paese ha speso fior di milioni di euro per nutrire ed accudire gli animali domestici.
A tutti i buoni cristiani, poi, ricordo che in nessun passo, in nessuna pagina del Vangelo è scritto che bisogna aiutare il prossimo, a patto che sia un immigrato regolare.
Ho appreso, con raccapriccio, dalla mia aspirante nuora – una ragazza vicentina – che in Veneto molti Conventi di suore distribuiscono pasti caldi ed abiti agli immigrati, purché muniti di regolare permesso di soggiorno.
Gli altri? Che crepino pure!
Evviva la nostra disumanità.