C’ERA UNA VOLTA LA LIQUIDAZIONE
Enzo Parentela
Al momento di lasciare il lavoro, le Aziende erogavano al dipendente una discreta sommetta, la chiamavano TFR, trattamento di fine rapporto.
In altri termini, il lavoratore che lasciava l’Azienda veniva “liquidato”, grazie ad un accantonamento che anno dopo anno le stesse Aziende avevano destinato alla costituzione del TFR.
Quei soldi, rappresentavano un premio ad una vita di lavoro.
Il lavoratore poteva comprarsi l’auto nuova o cambiare l’arredo di casa oppure estinguere il mutuo, acquistare la villetta al mare e, spesso, restavano anche i soldi per sistemare i figli.
Poi qualche tecnocrate geniale, capì che dietro al TFR dei lavoratori c’era un bel patrimonio che poteva essere messo nel circuito economico per essere investito e portare altre ricchezze.
Perché lasciare tutti quei soldi inutilizzati e non investirli in attività più redditizie?
Il tecnocrate pensò bene di dare un incremento, in questo modo, ai Fondi previdenziali.
La cosa non era però di facile applicazione, bisognava convincere i lavoratori a rinunciare ad una somma certa con un rendimento minimo garantito, sostituendola con una forma di previdenza che di certo e garantito non ha assolutamente niente.
Bisognava non solo superare le resistenze dei lavoratori ma anche quella delle Imprese, che vedevano sottrarsi dalle proprie disponibilità i capitali destinati alla liquidazione dei dipendenti.
Si iniziò quindi a martellare l’opinione pubblica con le cifre sulla sostenibilità del sistema previdenziale, che senza interventi correttivi era destinato al collasso prossimo venturo.
L’aumento della vita media, più che una conquista dei tempi moderni, è stato presentato come una iattura.
Schiere di vecchietti arzilli e baldanzosi sono stati dipinti come voraci consumatori di risorse previdenziali. Nuove generazioni quindi contrapposte alle vecchie. Giovani contro anziani.
Poi venne la Riforma Dini , che cambiò gradualmente il sistema di calcolo della pensione, peggiorandolo a discapito dei futuri pensionati.
Quindi, dulcis in fundo, fu varata la Riforma Maroni che cambiò le regole per il pensionamento, allungando la permanenza sul lavoro e allontanando, non di poco, il termine per conseguire il diritto alla pensione.
Come se tutto ciò non bastasse, la Comunità europea ed altri Organismi internazionali, periodicamente, continuano a sollecitare l’Italia per interventi restrittivi sul sistema previdenziale.
In risposta a tali sollecitazioni, si odono le voci dei soliti politici che introducono timidamente il problema dei coefficienti di calcolo della pensione, poiché dicono, ancora una volta, che il sistema pubblico non sarebbe più in grado di garantire ai futuri pensionati un reddito pensionistico adeguato.
E, quindi, ai lavoratori sempre più preoccupati dal rischio di rimanere senza pensione, non viene lasciata altra scelta che rinunciare alla liquidazione per investirla sui Fondi previdenziali, nella speranza di ottenere una pensione più elevata.
In altri termini si è detto ai giovani di oggi : “Se volete garantirvi, in futuro, un reddito pensionistico equivalente a quello odierno, dovete rinunciare al TFR”.
Né la Commissione europea né altri Organismi internazionali dicono o hanno mai detto che gli interventi dovrebbero essere ben altri.
Ad esempio, nessuno ama ricordare che il livello di contribuzione previdenziale sostenuto in Italia è tra i più alti d’Europa, il 32 % (trentadue per cento).
Nessun Organismo, nazionale o internazionale, sottolinea il fatto che sul sistema previdenziale incidono oneri e costi che niente hanno a che vedere con la previdenza, come la cassa integrazione, la disoccupazione, la mobilità e l’indennità di malattia.
Le ultime riforme sulla pensione e quella sul TFR, avranno ripercussioni pesanti sul futuro dei lavoratori.
Nello scorso mese di giugno, migliaia di pensionati hanno manifestato, in tutta Italia, per reclamare un trattamento pensionistico più dignitoso.
Speriamo che nei prossimi anni i lavoratori attuali, che rappresentano i pensionati di domani, non debbano ritrovarsi ancora nelle piazze a reclamare, quello che è un diritto giusto e sacrosanto, conquistato dopo anni di lavoro e di sacrifici.