TABELLA DI MARCIA
Francesco Murro
Extragettito, tesoretto, solo parole in voga o anche fatti, risultati concreti? Posto il doveroso quesito, possiamo provare a dire qualcosa di più? L’interrogativo ovvero l’antefatto dal quale prendiamo spunto per alcune brevi considerazioni – che ci piace fare ad alta voce – è il seguente: è possibile ridistribuire se non si cresce? Dunque, la crescita prima di tutto e il Pil, il prodotto interno lordo per intenderci, l’inevitabile, inesorabile e sempre più citato Pil, da considerare come una sorta di feticcio, o sarebbe meglio dire, il nostro infallibile totem, vero padrone unico e assoluto. Con le contraddizioni globali, in corso già da lungo tempo, abbiamo il coraggio di dire al Paese, ovviamente al nostro sistema paese, cosa deve o dovrebbe crescere e cosa, invece, deve o dovrebbe decrescere? Segue piccolo elenco di cose concrete da fare, destinato a toccare e modificare significativamente interessi pubblici e privati; al contrario si tratterebbe di semplice e sterile esercizio dialettico di tipo salottiero che ad altri volentieri affidiamo.
A nostro parere, devono crescere – tanto per intenderci – i servizi cosiddetti immateriali, i trasporti di merci su ferro e per mare ed i mezzi pubblici per le persone, il risparmio energetico e le energie rinnovabili, il salario e gli stipendi, la sicurezza e il ruolo sociale del lavoro, l’agricoltura non modificata, le reti idriche, l’edilizia di manutenzione e di recupero, l’impresa sociale, i diritti.
Devono diminuire le rendite, le speculazioni edilizie e finanziarie, l’uso di cemento che ci vede tra i primi Paesi nel mondo, il trasporto di merci su gomma, la dipendenza dal petrolio, il numero di automobili, la chimica più inquinante, le immancabili spese per armamenti, che negli ultimi anni hanno raggiunto cifre impronunciabili.
Questioni che suscitano non solo perplessità ma mettono in discussione conoscenze consolidate, smuovono interessi che iniziano a risultare paradossalmente non ipocriti, poiché in gioco è il futuro, un domani sempre più vicino, dai contorni ma soprattutto dai contenuti sempre più foschi e che riguarda il destino reale di tutti, nessuno escluso. In fondo, stiamo parlando di persone, di gente fatta di carne ed ossa, non di problemi astratti.
La svolta risulta decisiva nel momento in cui mettiamo in moto quel processo che è in grado di sostenere un’idea di sviluppo fondata sulla riconversione ecologica di settori importanti della nostra economia. Una diversa concezione dei consumi, dei cicli produttivi e delle merci. Organizzarsi e dibattersi per lanciare allarmi sui cambiamenti climatici e sui limiti delle risorse naturali non vale se si rinuncia ad indirizzare lo sviluppo verso altri fini, anche attraverso indirizzi chiari e forti dello Stato in economia. L’insieme di riforme da mettere in campo per conseguire il cambiamento, la mutazione del modello di sviluppo di questo sistema liberista d’impronta fortemente egoistica – con il proprio ombelico al centro del mondo – deve diventare obiettivo prioritario, insieme ad una riconversione ecologica dell’economia. Purtroppo, al momento, registriamo l’incapacità di vedere quanta giustizia sociale passi attraverso la riconversione ecologica. Proviamo semplicemente a pensare all’acqua. Di quale giustizia sociale si può mai parlare in un mondo nel quale una parte enorme di persone non ha accesso all’acqua? Che l’acqua resti un bene comune, un diritto, e che la gestione delle reti pubbliche sia una scelta precisa, redistributiva, comunitaria.
Facciamocene una ragione, e diciamolo con forza, il Pil misura in modo indifferenziato la produzione di un Paese, non ci parla purtroppo degli squilibri. Il Pil non misura i diritti e non li garantisce, non riequilibra le risorse, non ci parla di democrazia, non si cura della sicurezza sul lavoro, non ci dice che stiamo consumando troppo territorio agricolo, che cementifichiamo, indiscriminatamente, le nostre bellissime coste (vera risorsa per un turismo di qualità), che abbiamo il 40 per cento di acqua che si disperde. Il Pil è un semplice indicatore nudo e crudo. Lo teniamo in considerazione, ma, come dire, non è il Vangelo. Interessa esclusivamente il benessere economico.
Il disco rotto della crescita indifferenziata gira sul piatto da molti anni ormai.
E da molti anni nulla di buono cresce (vedi spazzatura con roghi annessi).
Dovremmo impegnarci per incrementare la qualità sociale e ambientale dello sviluppo. Questo dovrebbe connotare un programma non solo ideale ma un tratto della cultura politica del nostro tempo. La sfida è decisamente enorme, com’è giusto che sia, ma necessaria, vitale e il rischio di risultare inadeguati è sempre dietro l’angolo.
Non sono concesse alternative, bisogna inderogabilmente confidare e indirizzare le energie in un’azione comunitaria, collettiva che permetta di superare le nostre singole e umane debolezze. È necessario rimboccarsi le maniche, attivarsi per partecipare ad un progetto, contribuire alla sua costruzione, mettersi in gioco quotidianamente affinché si radichi socialmente in uno stile di vita fatto di gesti concreti, aperto ad una pluralità di idee che diventi democratico nelle decisioni da prendere, capace di una condotta che si misuri con le contraddizioni dello sviluppo e che sappia proporre soluzioni alternative ma soprattutto credibili.
È possibile, si può fare? Noi ci sentiamo fiduciosi.