COSÌ ITALIANI… COSÌ INTOLLERANTI…
Emanuela Frosina
Notizia del mese scorso (TG1): l’89% dei reati commessi in Italia, nell’ultimo anno, sono stati compiuti da italiani. Titolo di un quotidiano, chiaramente schierato, a tiratura nazionale, marzo 2008: l’80% dei reati in Italia è commesso da rumeni.
Inutile chiedersi come siano conciliabili le due frasi, l’arcano è facilmente svelato: ci si è “dimenticati” di precisare, nella seconda delle due affermazioni, che i rumeni compiono sì l’80% dei reati, ma nell’ambito dei reati ascritti a cittadini stranieri sul territorio nazionale (pari, questi ultimi, all”11% del totale).
Ecco un esempio pratico di intenzionale disinformazione: ad un semplice approfondimento, la realtà appare molto meno drammatica di quanto la si voglia prospettare, ma nel frattempo la frittata è fatta, il messaggio è arrivato al lettore o al telespettatore, la paura è scattata. Altro esempio facile, facile: quando uno stupro, un’aggressione, un omicidio sono commessi da stranieri, la notizia è sempre accompagnata dall’informazione circa la nazionalità del colpevole. Lo stesso non accade mai per le innumerevoli notizie di violenze compiute da cittadini italiani (a patto che non si tratti di napoletani, calabresi o siciliani, la cui appartenenza regionale, puntualmente specificata, è, evidentemente, molto più significativa ed interessante della nazionalità).
Dobbiamo, forse, dedurre che gli omicidi di prostitute slave in Lombardia, le spedizioni punitive ai campi nomadi di Roma, lo stupro della tredicenne marocchina a Milano, l’incendio al negozio del cingalese – tutte azioni compiute da italiani DOC – siano da considerare meno gravi delle rapine cruente perpetrate nelle ville venete? Nel nostro Paese si è creato così, gradualmente, un clima di estrema pericolosità. Perché, quando il giudizio, giustamente negativo e di netta condanna, non si esprime sulla singola persona, colta in flagranza di reato e/o chiaramente indiziata, ma su una comunità, un’appartenenza geografica, un’etnia, il razzismo non è un remoto pericolo dietro l’angolo, è già realtà dentro di noi, pronto ad esplodere.
Gli atti di violenza che ne conseguono vengono implicitamente giustificati a priori: si tratta di una forma di autodifesa contro chi turba la civile convivenza. Non ci si preoccupa più nemmeno di appurare con certezza la verità delle accuse; sarà vero che la giovane Rom di Ponticelli, sbattuta su tutte le prime pagine, voleva rapire il bambino? Nessuno se lo chiede più, ma i Rom sono, per quasi tutti, dei ladri potenziali di bambini (ma perché, se ne sfornano già tanti?).
La convinzione diffusissima che gli ebrei fossero tutti usurai non è stata, in realtà, molto diversa. Si sta legiferando – Unione europea compresa – proprio mentre scriviamo queste righe, di normative favorevoli ad espulsioni di massa, di detenzioni fino a 18 mesi nei CPT, di sanatorie negate anche a quanti, tra i cosiddetti clandestini, senza aver commesso alcun crimine, lavorano da anni nei nostri campi e nelle nostre case, sottopagati ed in nero, abitando in appartamenti di nostra proprietà, pagando canoni d’affitto esorbitanti. Pare che siano tutte misure urgenti, lecite e necessarie, in linea con quelle adottate da Stati oltreoceano (sempre migliori di noi, per vocazione!).
Se così fosse (sebbene Amnesty international, il Vaticano ed alcuni Ministri spagnoli abbiano dichiarato apertamente il contrario), ciò che occorre perseguire è il reato che si compie, oppure il “meticciato”, la mescolanza etnica, il “melting pot” non regolato da ferree limitazioni?
Ho ascoltato, alcuni giorni fa, delle interviste a cittadini di Parma, abitanti in un quartiere ormai a netta prevalenza di immigrati: ciò che lamentavano non erano veri e propri reati, ma era evidente la loro profonda sofferenza (ed insofferenza) nei confronti delle diverse abitudini di vita, della presunta “sporcizia”, dei rumori molesti, dei sacchetti di spazzatura non deposti negli appositi cassonetti, della scarsa propensione all’integrazione culturale degli immigrati.
Sono convinta che un newyorchese degli anni venti si sarebbe espresso, esattamente, negli stessi termini, a proposito degli italiani straccioni, maleducati e rumorosi appena sbarcati dai ferry-boats, in cerca di una vita meno difficile.
La soluzione agli innegabili problemi di integrazione culturale che l’Italia sta avvertendo si verificherà – è inutile illudersi – in tempi molto lunghi, solo con una lenta e progressiva assimilazione dei nostri stili di vita da parte dei nuovi arrivati, ma anche grazie ad una progressiva accettazione del “diverso”, che vedrà, inevitabilmente, disperdersi alcune nostre peculiarità, ma anche un arricchimento reciproco, com’è avvenuto in tutte le grandi nazioni che hanno fatto del crogiolo di culture e di etnie la loro ricchezza.
Non esiste muro abbastanza alto da impedire a folle affamate e sempre più numerose di attraversare i nostri confini; ed un Paese come il nostro, configurato anche geograficamente in maniera facilmente raggiungibile – almeno su tre dei quattro versanti – non ha alternative alla pacifica coesistenza. Impensabile poi, nell’attuale drammatica situazione del nostro sistema giudiziario e penitenziale, intasare ulteriormente le già collassate carceri e le aule dei tribunali con ulteriori, numerosissimi e continui processi per nuovi reati, quale quello ventilato di immigrazione clandestina.
Chiunque, in buona o in malafede, prospetti immediate soluzioni radicali ed agiti vecchi e sinistri fantasmi, dovrebbe ricordare di essere già stato superato dalla Storia.