GLOBALIZZAZIONE? NO, GRAZIE
Nino Lentini
Continua, inesorabile, il processo di globalizzazione.
Attraverso fusioni ed accorpamenti, assistiamo – piccoli spettatori impotenti – da un parte alla scomparsa di quelle che una volta erano viste come grandi società, per costituirne altre più grandi e potenti in grado di competere con il nuovo mercato globalizzato; dall’altra al successivo scorporo di lavorazioni per la costituzione di nuove piccole società satelliti che dovranno, dall’esterno, fornire gli stessi servizi che prima fornivano dall’interno.
Tutto questo, naturalmente, viene fatto per risparmiare sui costi.
Serve per ridurre la forza lavoro e, come conseguenza, crea nuove forme di povertà là dove prima si stava discretamente bene.
Ma, allora, a chi sono utili i processi di globalizzazione?
Sono stati scritti fiumi di parole.
I processi di globalizzazione erano necessari per adeguarsi alle nuove regole del mercato.
L’unico modo possibile per combattere la disoccupazione ed avviare, definitivamente, il tanto agognato risanamento del Paese.
Tutto ciò, ancora, non è accaduto.
Oggi, tocchiamo con mano, anche consultando i dati continuamente forniti da riviste specializzate e dagli organi ufficiali, che a distanza di anni quasi nulla è cambiato.
La disoccupazione non ha avuto il calo previsto ma, in alcune zone, è in crescita.
Le coppie, spesso monoreddito, hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese. L’incremento demografico è ai minimi storici, non solo per il problema economico ma anche e soprattutto per la preoccupazione di un incertissimo futuro. L’interrogativo comune è: “quali prospettive per i nostri figli?”.
Al momento non c’è risposta, inibendo, in tal modo, quel processo che per le generazioni passate era naturale avvenisse: “rinnovare e ringiovanire la società”.
Nonostante ciò nessuno si interroga sul da farsi.
Ancora oggi il processo continua inesorabile. “I ricchi sono sempre di meno, ma sempre più ricchi. I poveri sempre più numerosi e sempre più poveri”.
La trasformazione della società in buona parte effettuata, continua ancora, inesorabile, lungo un percorso di continua evoluzione.
Lo statuto dei lavoratori nato negli anni `70, attraverso le lotte ma anche con il dialogo fra le parti sociali, per la tutela dei diritti dei lavoratori, con garanzie del posto di lavoro, oggi viene praticamente e continuamente messo da parte, utilizzando contratti precari che danno tutele e diritti ai datori di lavoro annullando quelli dei lavoratori.
E’ brutta, ma oggi questa è la realtà.
Il mondo del lavoro si contraddistingue per la sua precarietà. Da Nord a Sud non ci sono più differenze di sorta.
Prima, infatti, la disoccupazione era un marchio di distinzione del Sud.
La gente emigrava per cercare lavoro nei territori più ricchi del Nord.
Oggi, purtroppo, grazie al mercato del lavoro globalizzato, anche là dove si stava bene e c’era lavoro in abbondanza, c’è precarietà.
Ormai si tratta di un malcontento diffuso, non più circoscritto a chi ancora vive in modo diretto queste vicissitudini.
L’altra sera, stavo attendendo il mio turno nell’ambulatorio del medico di base. La sala era particolarmente affollata. Per lo più erano persone già in pensione, ognuno con i propri problemi ma, di certo, non quello del lavoro. Avrebbero potuto, tranquillamente leggere una rivista o chiacchierare del più e del meno. Invece no.
La discussione era incentrata, con rispettosa animosità, su quello che succede da anni nel mondo del lavoro. Sulla precarietà dei giovani. Sulla disoccupazione giovanile. Sul futuro nero che attende le nuove generazioni, non mancando di criticare, al riguardo, l’assenza totale della nostra politica.
Una discussione sentita, carica di amarezza.
Quelle persone, quegli anziani erano la rappresentanza di tutti i nostri padri. Di quella gente che aveva lavorato sodo, lottando con forza e con rispetto, per il futuro delle nuove generazioni. Si era impegnata, con tanti sacrifici, per costruire qualcosa di solido da lasciare alle nuove generazioni. La possibilità di poter contare su un lavoro sicuro, su una casa, una famiglia, dei figli. L’opportunità si vivere in un moderato benessere. Con la distribuzione delle ricchezze, che si andavano accumulando, attraverso nuovo lavoro.
Ma lo scenario, adesso, è cambiato. I posti di lavoro vengono continuamente erosi.
La ricchezza accumulata, attraverso il lavoro della povera gente, non viene investita per creare nuovi posti di lavoro.
I grandi manager, infatti, cercano attività redditizie al prezzo più basso, anche a costo di spostarle, pur di guadagnare di più, all’estero, dove il costo della manodopera è minore.
E, per il futuro, purtroppo, non si prevede alcuna inversione di tendenza.
E’ necessario che qualcuno, forte, onesto ed autorevole, abbia il coraggio di voltarsi indietro e valutare quello che è successo nella trasformazione della società.
C’è bisogno di politiche di sviluppo a beneficio di tutti e non solo, come sta avvenendo adesso, mirate a rimpinguare le tasche dei pochi già molto benestanti. Solo così per le nuove generazioni potranno aprirsi prospettive più solide, andando ad attenuare le mille ansie e paure che adesso affliggono il 90 per cento delle famiglie italiane.