IL BULLISMO COME FENOMENO SOCIALE – Deborah Lentini
Il bullismo è un comportamento antisociale che, come si apprende da numerosi studi compiuti in ambito internazionale, può presentarsi precocemente e coinvolgere anche bambini in tenera età, oltre che ragazzi e adolescenti. “Bullismo” è la traduzione italiana letterale del termine inglese “bullying” impiegato dai ricercatori per definire e connotare il fenomeno delle prepotenze, delle prevaricazioni psicologiche e fisiche tra pari, in un contesto di gruppo. Recentemente, i mass media hanno evidenziato, in occasione della giornata mondiale dell’infanzia, che il fenomeno del bullismo implica comportamenti aggressivi, spesso manifestati anche con la violenza fisica oltre che psicologica.
Si tratta di condotte agite, in modo particolare, in ambiti scolastici. In estrema sintesi, il bullismo si manifesta con aspetti tipici e ricorrenti: aggressività, intenzionalità, persistenza, asimmetria della relazione tra il bullo e la vittima; contatti che si caratterizzano da un rapporto di forza non equilibrato tra il prepotente e la sua vittima, spesso incapace di difendersi. Il “piccolo bullo” è, in genere, un bambino i cui gesti prevaricatori sono legati all’ambiente familiare e sociale che lo circonda e nel quale sta crescendo.
Assistere a violenze domestiche, a gesti di disprezzo o a crudeltà psicologiche tra genitori, se non proprio dirette sul piccolo, fa sì che nella propria mente il bambino si trasformi da aggredito in aggressore, rendendo vittime altri bambini delle stesse violenze da lui subite. Il dolore di dovere assistere o subire violenze indescrivibili, viene tanto interiorizzato nella mente del bambino, l’intensità aumenta così esponenzialmente che l’unico modo per liberarsene è quello di sfogarla contro altri bambini identificandosi nell’aggressore e non più nella vittima.
Bisogna tenere presente che un bambino “bullo” non è mai “cattivo” ma piuttosto confuso, ferito e solo. Possiamo accorgerci se un bambino è vittima di abusi da alcuni comportamenti che vengono considerati segnali d’allarme: un inspiegabile quanto improvviso peggioramento del rendimento scolastico, un netto rifiuto di andare a scuola o, comunque, di frequentare posti che precedentemente erano luoghi di incontro con altri bambini, perdita di appetito, insonnia, incubi notturni, vari tic nervosi. Un’altra spia di malessere interiore potrebbe essere riscontrata nei disegni, nei racconti o addirittura nella voglia di raccontare che prima c’era e, da un certo punto in poi, non c’è più.
Bisogna, infatti, sapere che genitori e insegnanti sono prevalentemente ignari della portata del fenomeno e che è scarsa (se non inesistente) la comunicazione adulto – bambino sul problema. Anche coloro che hanno la necessità di chiedere urgentemente aiuto agli adulti decidono di non parlare, nel migliore dei casi perché temono una scarsa attenzione, nel peggiore perché si sentono in colpa per non essere abbastanza forti da rispondere alle prepotenze. I bulli, del resto, se da un lato non hanno alcuna ragione per sollevare il problema, dall’altro si ritengono comunque destinatari di approvazione e rinforzo.
Da un’ampia ricerca condotta in differenti zone, in Italia, emerge che il bullismo, a scuola, costituisce un fenomeno diffuso, con indici complessivi che vanno dal 41% nella scuola primaria al 26% nella scuola media, per quanto riguarda il numero degli alunni oggetto di prepotenza. Se i dati della ricerca italiana vengono posti a confronto con quelli di altri Paesi ne emerge, a prima vista, un quadro sconfortante, perché risultano assai più elevati – ad esempio quasi doppi – di quelli ottenuti nel Regno Unito. Il divario tra i dati italiani e quelli internazionali potrebbe essere attribuito ad un modo diverso di interpretare e vivere il fenomeno.
I risultati di altre ricerche indicano che i valori trasmessi dai genitori influenzano sia il modo in cui il figlio si relaziona con gli altri, sia il modo in cui risolve le difficoltà della vita. Nello specifico, i risultati ottenuti verificano che nelle famiglie dei bulli, diversamente da quanto si verifica in quelle delle vittime, le strategie utilizzate per affrontare le difficoltà sono fondate sull’individualismo e l’egoismo. Il bullismo esiste e non si può ignorare. Conoscerlo e averne consapevolezza aiuta a combatterlo, a promuovere e a realizzare programmi di intervento che hanno l’obiettivo di attivare processi di mediazione e di risoluzione dei conflitti. Favorire la salute e la crescita personale e collettiva attraverso processi di partecipazione e di mediazione culturale, deve costituire un obiettivo primario di tutte le strutture educative, sanitarie e culturali presenti nella comunità, che hanno l’obbligo impegnarsi nella costruzione di sinergie e circoli virtuosi.