Nei giorni scorsi l’azienda, facendo seguito alla lettera di disdetta degli accordi in tema di contratto misto inviata alle Organizzazioni sindacali a dicembre e pur confermando a parole “la disponibilità ad avviare un confronto finalizzato a raggiungere un nuovo accordo volto a ridefinire la materia in questione”, di fatto ha sottratto a qualsiasi prospettiva di reale confronto la materia.
Secondo l’azienda, infatti, il presupposto dal quale avrebbe dovuto prendere avvio la trattativa era quello del superamento del diritto della/del lavoratrice/lavoratore alla trasformazione in contratto a tempo pieno, elemento che per le OO.SS è irrinunciabile.
Alla base della decisione aziendale vi è la crescente incidenza delle trasformazioni a tempo pieno: una scelta effettuata con sempre maggiore frequenza dai colleghi giunti al termine del primo biennio, nonostante le pressioni, le vere e proprie intimidazioni, e i trasferimenti ritorsivi cui sono stati spesso sottoposti per indurli a rinunciare alla conversione.
Dopo diversi anni di sperimentazione bisogna registrare una progressiva disaffezione da parte di coloro che hanno sperimentato in prima persona gli effetti di tale forma contrattuale, e la decisione aziendale non incide sulle cause di tale disaffezione, evidenziando invece l’incapacità o la non volontà aziendale di far fronte alle richieste di rientro verso i territori di provenienza, anche di quelle provenienti dai fruitori ex lege 104/92 o dei neo genitori.
I motivi di tale valutazione, nel complesso non positiva, avrebbero richiesto un’analisi obiettiva e approfondita volta a introdurre gli opportuni correttivi per superarne le profonde criticità:
– lo sradicamento dai territori di origine per essere destinati a sedi distanti centinaia di chilometri (con un aggravio di costi quasi insostenibile rispetto alle magre entrate);
– la rigidità gestionale dell’Azienda nell’assegnazione di questi colleghi all’atto della trasformazione in contratto a full-time, con tutte le problematiche connesse;
– l’insufficienza o l’inadeguatezza di tutti quegli strumenti (logistici, organizzativi, informatici e commerciali) che sarebbero necessari per un proficuo svolgimento della componente autonoma (a partire dalla disponibilità di locali in cui accogliere la clientela);
– l’assenza di effettivi margini di autonomia nella proposta commerciale (che rendono questa tipologia contrattuale “autonoma” solo in astratto, mentre nei fatti è gravata da vincoli e limitazioni).
La Banca, al contrario, anziché individuare le possibili soluzioni che renderebbero più conveniente (o anche solo meno penalizzante e gravida d’incertezze) la conferma della duplice tipologia contrattuale, compie la scelta di non permettere -per chi sarà assunto in futuro con il contratto misto- alcuna alternativa rispetto alla componente autonoma.
La condotta adottata in questa circostanza dall’azienda conferma un approccio della controparte sempre più teso a una gestione unilaterale, e il ruolo previsto per il Sindacato dovrebbe essere quello di avallare le scelte già prese, senza poter significativamente e realmente incidervi.
La circolare con la quale lunedì 6 febbraio l’azienda ha comunicato di aver definito le nuove «Regole dirette a disciplinare e garantire un’efficace gestione del cd. “contratto misto” a far data dal 1° febbraio 2023» sancisce ulteriormente questa impostazione: è la conferma della necessità e della validità della decisione che, come Organizzazioni sindacali, abbiamo compiuto rispetto all’avvio del percorso assembleare e in cui siamo impegnati in queste settimane, al termine del quale valuteremo tutte le possibili iniziative, nessuna esclusa, fra cui l’ipotesi di una fase vertenziale.
Per tutte queste ragioni, ribadiamo l’importanza di un’ampia partecipazione alle assemblee delle lavoratrici e dei lavoratori del Gruppo.