Anche in assenza di obblighi di legge, in ragione dei principi di correttezza e buona fede, il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore l’imminente scadenza del periodo di comporto ed il suo diritto ad essere posto in aspettativa non retribuita.
La vertenza è stata sollevata in occasione del licenziamento di un lavoratore, per scadenza del periodo di comporto dopo un lungo periodo di assenza dal lavoro per malattia (documentata sino alla data di cessazione del rapporto) per diabete mellito di tipo 2 in scarso compenso metabolico e esiti di amputazione del 1 raggio del piede destro.
Il lavoratore ricorreva al Tribunale ritenendo il licenziamento discriminatorio in quanto irrogato a persona portatrice di handicap, ovvero disabile, secondo la definizione comunitaria. Il Lavoratore, inoltre,, nel suo ricorso, lamentava di non essere stato preventivamente informato della imminente scadenza del periodo di comporto, non potendo pertanto fruire del periodo di aspettativa di 24 mesi non retribuita come previsto dal CCNL di riferimento.
In primo grado il tribunale rigettava la domanda con condanna alle spese, fondando essenzialmente la sintetica decisione sulla assenza di prova dello stato di disabilità, in quanto non certificato prima della cessazione del rapporto; osservava altresì che non sussiste alcun obbligo normato del datore di lavoro di informare il lavoratore circa il periodo di comporto residuo prima del suo completamento.
Di tutt’altro tenore le valutazioni della Corte di Appello di Trento che con Sentenza n. 8 del 09/03/2023 ha riconosciuto le ragioni del lavoratore. Secondo le valutazioni della Corte l’azienda avrebbe dovuto adottare degli accomodamenti ragionevoli, vale a dire determinazioni imprenditoriali rivolte al lavoratore “disabile”, finalizzate a garantire parità di trattamento con gli altri lavoratori ed a mantenere il loro posto di lavoro il più possibile, compatibile con la situazione psicofisica derivante dalla inabilità.
I datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti a adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009 n., 18 nei luoghi di lavoro per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori.
Quindi si può prescindere dalla disciplina che non impone al datore la preventiva comunicazione della imminente scadenza del periodo di comporto e si deve, di contro, ritenere che il datore debba adoperarsi per tutelare il proprio lavoratore disabile nel mantenimento, nei limiti del possibile, del posto; tanto più laddove vi sia una soluzione prevista dalla contrattazione collettiva e che sia priva di oneri per l’azienda, cioè una soluzione non comportante un onere finanziario spropositato (art. 5 direttiva), anzi nella specie nessun onere finanziario.
La Corte di Appello ha dichiarato la nullità del licenziamento, in quanto discriminatorio, con l’obbligo del reintegro nel posto di lavoro e con una indennità risarcitoria, ex art. 18 comma 2 L. 300/1970, pari alla retribuzione globale di fatto maturata e maturanda dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione.