L’articolo 2087 del codice civile impone al datore di lavoro di adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Per valutare se il lavoratore è vittima di una azione di mobbing da parte del datore di lavoro è necessario che siano dimostrate due condizioni particolari, una oggettiva e una soggettiva. L’elemento oggettivo è costituito da una reiterata pluralità di comportamenti pregiudizievoli ai danni della persona, mentre l’elemento soggettivo presuppone che ci sia un intento persecutorio nei confronti del lavoratore, correlato alle molteplici condotte gravanti a danno del lavoratore.
Se è vero che, relativamente al mobbing, il lavoratore ha l’onere di provare il danno alla salute ed il nesso di causalità tra questo e le situazioni stressogene che caratterizzano l’ambiente lavorativo, va sottolineato che al datore di lavoro compete l’onere di provare di aver adempiuto l’obbligo di adottare tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica erano idonee ad evitare il determinarsi di tale peculiare ambiente di lavoro.
Al riguardo una lavoratrice pur avendo vinto il primo grado di giudizio si è vista poi respingere in appello il diritto al risarcimento per mobbing e pertanto ha fatto ricorso in Cassazione.
La Corte di Cassazione Sez. Lav., 12 febbraio 2024, n. 3822, accogliendo il ricorso della lavoratrice ricorrente ha stabilito che una volta accertata l’insussistenza del mobbing è necessario accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per aver omesso di impedire che l’ambiente stressogeno provocasse un danno alla salute.
Secondo la corte anche nel caso in cui dovesse essere confermata l’assenza degli estremi del mobbing, non verrebbe comunque meno la necessità di valutare e accertare l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per avere anche solo colposamente omesso di impedire che un ambiente di lavoro stressogeno provocasse un danno alla salute della ricorrente. Infatti, sostiene la Corte «è illegittimo che il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori.
In caso di accertata insussistenza del mobbing, il giudice del merito deve comunque accertare se, sulla base dei fatti allegati a sostegno della domanda, sussista un’ipotesi di responsabilità del datore di lavoro per non avere adottato tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore; nell’apprezzare la sussistenza di un danno alla salute e del nesso causale tra questo e l’ambiente di lavoro, il giudice non può prescindere da un esame critico delle risultanze della svolta c.t.u. medico legale per affidarsi esclusivamente a proprie intuizioni e convinzioni personali su aspetti il cui apprezzamento richiede particolari competenze tecniche».