In alcune circostanze sussiste un divieto di licenziamento che se non rispettato espone il datore di lavoro a una serie di spiacevoli conseguenze.
Il licenziamento è l’atto attraverso il quale il datore di lavoro recede unilateralmente da rapporto di lavoro in presenza di giusta causa o giustificato motivo oggettivo o soggettivo.
Il licenziamento, in determinate situazioni è nullo perché si scontra con i vincoli imposti dal legislatore che, di conseguenza, annulla i poteri del datore di lavoro obbligandolo al reintegro del lavoratore nel posto di lavoro e al rimborso delle retribuzioni spettanti per il periodo intercorso.
Il divieto di licenziamento è previsto, tra gli altri, nei seguenti casi:
– Motivazione di carattere politico, religioso, sindacale o di etnia, lingua, orientamento sessuale (licenziamento discriminatorio);
– Sciopero del dipendente (Legge 300/1970);
– Malattia e infortunio nel periodo di comporto previsto dalla legge e dal contratto collettivo. Se l’assenza del lavoratore continua oltre tale periodo, il datore di lavoro può recedere unilateralmente dal contratto;
– Matrimonio della lavoratrice (D.Lgs. 198/2006, art. 35) nel periodo compreso tra la richiesta di pubblicazione e lo scadere dell’anno dalle nozze;
– Gravidanza e maternità dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno d’età del bambino (D.Lgs. 151/2001, art. 54);
In caso di licenziamento in presenza dei divieti, il D.Lgs. 23/2015 prevede una tutela piena nei confronti del dipendente licenziato riconoscendogli il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno il cui valore non può essere inferiore ai a 5 mensilità di stipendio.