La Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, in data 14 luglio 2016, ha emesso una interessante Sentenza con la quale vengono presi in considerazione vari aspetti tra loro correlati: la corresponsione di buoni pasto al Dipendente, l’identificazione della loro natura in rapporto alla retribuzione, lo stato di disabilità del Lavoratore, la difficoltà e l’impossibilità a una concreta ed agevole fruizione del buono negli esercizi commerciali situati nelle vicinanze della sede di lavoro.
Il caso trattato dalla Corte di Cassazione è quello relativo ad un Lavoratore disabile (non vedente) che, a causa della non spendibilità dei buoni pasto materialmente ricevuti, ha chiesto in sede giudiziale l’accertamento dell’inadempimento del proprio Datore di lavoro (nella fattispecie l’Agenzia delle Entrate) e il risarcimento dei danni conseguenti. Più specificatamente, il Lavoratore non ha inteso ottenere una semplice sostituzione dei buoni pasto con una somma in denaro corrispondente al loro valore nominale ma il riconoscimento d’inadempimento da parte del Datore di lavoro e la condanna dello stesso ad un risarcimento per il danno subito in quanto persona disabile.
Pertanto la Suprema Corte, nel verificare se la difficoltà nella fruizione dei ticket da parte del ricorrente equivalga per il Datore di lavoro ad un suo inadempimento in materia di tutela della salute dei Lavoratori, ha dichiarato che non basta affermare che in qualche esercizio commerciale i buoni pasto sono accettati, quando nei luoghi più accessibili ad un soggetto portatore di handicap questo non succede. Afferma, peraltro, la Suprema Corte che l’attribuzione dei buoni pasto costituisce una agevolazione di carattere assistenziale, finalizzata a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del Dipendente, in quanto consente al Lavoratore – dove non è previsto un servizio mensa – la possibilità di fruire del pasto all’esterno con relativo costo a carico dell’Azienda. E tutto questo nell’ottica di garantire il benessere psico-fisico del Dipendente per la prosecuzione dell’attività lavorativa, esigenza che passa attraverso la tutela della salute e l’attenzione verso le situazioni di svantaggio.
In modo efficace la Sentenza, dunque, mette in luce la funzione strumentale del buono pasto proprio ai fini della tutela del diritto alla salute del Dipendente. Il Datore di lavoro non può limitarsi a mettere a disposizione del Dipendente il buono pasto, ma deve fare in modo che lo stesso sia concretamente fruibile, in ragione delle condizioni personali di ciascuno. La semplice attribuzione di un buono pasto (non accettato negli esercizi commerciali facilmente raggiungibili) non basta a sollevare il Datore di lavoro dall’obbligo di predisporre strumenti in favore dei Lavoratori che si trovino in particolari situazioni di svantaggio. Del resto, anche la normativa sovranazionale impone il superamento di ogni discriminazione in ambito lavorativo e dunque la necessità di compensare una maggiore difficoltà nella fruizione di un servizio con gli strumenti idonei a superarla (Direttiva 2000/78/CE, con formulazioni di principio raccolte anche dall’art. 3, comma 3 bis, del D. Legislativo n. 76/2013, convertito in Legge n. 99/2013).
Ne consegue che i Datori di lavoro devono fornire ai Lavoratori disabili, che ne sono beneficiari in base alla contrattazione di settore, dei buoni pasto che risultino materialmente fruibili in relazione alla loro condizione di disabilità, potendo altrimenti essere tenuti, in caso contrario, a risarcire i danni conseguenti.