La Corte d’Appello di Bologna (Sezione Lavoro), riformando il pronunciamento di primo grado del Tribunale di Reggio Emilia, con la sentenza n. 406 del 30 aprile 2019 ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo irrogato ad un Lavoratore, evidenziando – tra l’altro – l’assenza di ragionevoli motivi posti alla base del provvedimento.
Il caso preso in esame dai Giudici della Corte di Appello di Bologna è quello relativo ad un Lavoratore licenziato nel 2016 per motivi economici (soppressione della posizione lavorativa del Dipendente per effetto del calo di fatturato) a cui, peraltro, l’Azienda nel periodo immediatamente precedente il licenziamento aveva anche fatto giungere tutta una serie di richiami per presunte irregolarità commesse sul luogo di lavoro. A seguito di ricorso del Lavoratore avverso il licenziamento, il Tribunale di Reggio Emilia – una volta respinta la domanda principale – ha accolto quella subordinata, condannando l’Azienda a corrispondere solo un risarcimento economico del danno pari a cinque mensilità.
La Corte d’Appello di Bologna ha, invece, “decretato” l’illegittimità del licenziamento intimato, considerando prive di fondamento le ragioni oggettive addotte dall’Azienda per il recesso (motivi economici).
Infatti, il Datore di Lavoro non aveva in alcun modo dimostrato la diminuzione del fatturato nel 2015, rispetto a quello degli anni precedenti. Inoltre, da una verifica della documentazione prodotta in sede giudiziale era emersa la durata triennale di alcuni contratti di appalto stipulati nel 2014 e nel 2015; un numero di ore lavorate dai dipendenti nel 2016 superiore a quello dell’anno precedente; l’assunzione nel 2015 di due addetti con mansioni identiche a quelle del ricorrente.
Con riferimento ai già menzionati elementi di valutazione, la Corte ha rilevato che il giustificato motivo oggettivo era stato “all’evidenza artificiosamente creato e dedotto al solo fine di conferire una parvenza di legittimità al recesso contrattuale”; circostanza che “costituisce un primo – e non irrilevante – elemento presuntivo della ritorsività del licenziamento”.
Su quest’ultimo punto, la Corte ha attentamente analizzato gli ulteriori elementi probatori, indiziari del carattere ritorsivo del licenziamento, individuando fra gli stessi una chiara concatenazione: problemi di salute rappresentati dal Lavoratore e richiesta del pagamento di straordinari e retribuzioni arretrate da parte del medesimo ai quali sono seguiti i “richiami” da parte del Datore di lavoro. Ciò – secondo la Corte – con l’evidente intento di “incutere timore nel ricorrente e di indurlo a rassegnare le dimissioni”.
Ancora, l’Azienda corrispondeva la retribuzione, comprensiva dell’indennità di malattia, con molti mesi di ritardo al Lavoratore, senza alcuna valida ragione, costringendo il Lavoratore stesso a presentare richiesta di intervento all’allora Direzione Territoriale del Lavoro di Reggio Emilia.
I Giudici della Corte di Appello hanno, dunque, accolto la tesi del Lavoratore, secondo la quale all’interno della prima memoria difensiva dell’Azienda vi fosse anche una dichiarazione dal valore confessorio: “si fosse reso maggiormente disponibile come hanno fatto gli altri lavoratori si sarebbe evitato quell’epilogo che lo stesso (…) ha voluto”. Secondo i Giudici, quindi, il licenziamento si presentava come una “illegittima reazione non solo alla protratta assenza per malattia ma anche alla richiesta di pagamento di tutte le ore di straordinario e delle retribuzioni non corrisposte”.
Da qui, la Sentenza di nullità del licenziamento irrogato e la condanna dell’Azienda a reintegrare l’operaio sul posto di lavoro con riconoscimento del risarcimento del danno subito.