Nel caso in specie, una piccola Filiale aveva subito – tra l’ottobre 1996 e il settembre 1997 – ben quattro rapine. Successivamente il Direttore della Filiale, colpito da infarto miocardico acuto, ha richiesto al Datore di Lavoro il riconoscimento del danno biologico e morale per non aver adottato tutte le misure di sicurezza necessarie a tutela dei Lavoratori e della loro integrità “fisiopsichica”.
In sede di primo giudizio, il Giudice del Lavoro respingeva il ricorso del Dipendente. Nel secondo grado di giudizio, promosso dal Dipendente, la Corte d’Appello di Firenze riformava la Sentenza di primo grado e condannava l’Azienda al pagamento, in favore dello stesso Lavoratore, del danno morale. L’Azienda, quindi, ha presentato ricorso in Cassazione.
I Giudici della Suprema Corte di Cassazione – nel confermare il giudizio della Corte d’Appello di Firenze e quindi condannare definitivamente l’Azienda al riconoscimento al Lavoratore di una somma a titolo risarcitorio per danno morale – hanno, peraltro, confermato con forza il fatto che rimane in capo al Datore di Lavoro l’adozione di misure protettive idonee anche rispetto al rischio rapine.
I Supremi Giudici hanno, inoltre, stigmatizzato il fatto che, in relazione alla concreta situazione di pericolo ed all’obbligo di tutela dell’incolumità del Personale della Filiale, l’Azienda è rimasta assolutamente inerte e non ha ottemperato, tra l’altro, a quanto previsto anche dall’art. 2087 del Codice civile (disposizioni in materia di massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale concretamente fattibile).