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Le Direttive della Comunità Europea considerano le Lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento,
soggetti esposti a rischi specifici per cui si ritiene necessario intervenire al fine di tutelare, nel migliore dei modi, la
loro sicurezza e salute.
In particolare, la Direttiva comunitaria n. 92/85, emanata dal Consiglio Europeo il 19/10/1992, detta le linee generali
entro le quali gli Stati membri devono legiferare al fine di garantire la sicurezza fisica e la tutela delle Lavoratrici in
maternità.
Secondo tale normativa, che dispone l’azione di tutela in questione, la prima fase è costituita dalla valutazione a carico
del datore di lavoro di tutti i potenziali rischi/pericoli, sia qualitativi sia quantitativi, ai quali possono essere esposte le
Lavoratrici in maternità quali, ad esempio, agenti fisici, chimici e biologici, movimenti e posture,
fatica psicofisica
.
Il nostro ordinamento – in particolare il D. Lgs. n. 151/2001 – recepisce tali principi e prevede, quindi, condizioni
e procedure per sostanziare la tutela delle Lavoratrici in maternità durante il periodo di gravidanza e fino a sette
mesi di età del figlio.
Nello specifico, elenchiamo di seguito i principali fattori di rischio per la salute della donna in gravidanza e del bambino
previsti dall’ordinamento del nostro Paese:
1)
attività in postura eretta, in postura seduta e posture incongrue;
2)
lavoro in postazioni sopraelevate;
3)
movimentazione manuale dei carichi;
4)
colpi, vibrazioni o movimenti;
5)
esposizione a eccesivo rumore;
6)
esposizione a radiazioni ionizzanti;
7)
sollecitazioni termiche;
8)
lavori in atmosfera iperbarica come ambienti pressurizzati ed immersioni subacquee;
9)
spostamenti all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro (pendolarismo con distanze oltre i 50 km solo
andata);
10)
esposizione ad agenti biologici, chimici, piombo e suoi derivati.
Nel caso di condizioni di lavoro o ambientali ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e/o del bambino,
nell’impossibilità a spostare le lavoratrici ad altre mansioni “sicure”, va dunque presentata una domanda d’interdizione –
dal Datore di Lavoro o, in alternativa, dalla Lavoratrice interessata – alla Direzione Territoriale del Lavoro competente
per ambito geografico (cioè coincidente con la provincia dove risiede l’ufficio di lavoro della Lavoratrice).
Alla richiesta va allegata la certificazione medica che attesti lo stato di gravidanza.
La Direzione Territoriale del Lavoro competente, una volta constatata l’esistenza delle condizioni che giustificano
l’interdizione, dispone l’astensione dal lavoro entro il settimo giorno dalla presentazione della domanda.
La stessa Direzione Territoriale del Lavoro può anche disporre l’immediata astensione dal lavoro nel momento in cui il
Datore di Lavoro, tramite pure la Lavoratrice, produca una dichiarazione da cui si evinca, in modo inconfutabile,
l’esposizione della donna in maternità ai suddetti fattori di rischio e l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni.