Il settore del credito è al centro di un cambiamento epocale. Come ha sottolineato sabato in assemblea il CEO Victor Massiah: “Di fronte a un ostacolo bisogna pensare a modi nuovi per superarlo, Dick Fosbury ha sperimentato per primo il salto in alto di schiena e quella che all’inizio era una rivoluzione è diventata la norma”.
In questo Gruppo Bancario il sindacato è sempre stato pronto a fare la sue parte e a sperimentare soluzioni innovative: in tempi non sospetti, il sindacato ha sottoscritto un accordo, primo caso in Italia, dove veniva sancita la riduzione del numero e dei compensi degli amministratori e delle consulenze esterne; la nostra pressione ha permesso che nel rinnovo delle cariche del 2013, l’età media degli amministratori di UBI sia scesa da 71 a 57 anni.
Il futuro di UBI sembra delineato: il primo passo probabilmente sarà quello di procedere con la Banca Unica, ed entro il primo semestre verrà varato il nuovo piano industriale. Questa operazione andrà gestita con intelligenza per far si che non si disperda il rapporto con il territorio, ma soprattutto l’attaccamento all’azienda ed il patrimonio rappresentato dai dipendenti.
Purtroppo ultimamente la tenuta di questo patrimonio viene messa a dura prova un po’ a tutti i livelli.
Le pressioni commerciali, come più volte denunciato, stanno diventando insostenibili; vengono inviate mail e reprimende, che spesso denotano una superficialità disarmante da parte di chi dovrebbe essere un riferimento, ad ogni ora della giornata (a volte anche quando sarebbe più saggio dormire). Problemi oggettivi vengono spesso bollati come lamenti, alibi, scuse, scarsa proattività, mancanza di coraggio, scarsa convinzione.
Il tutto si accompagna ad una carenza degli organici che, soprattutto in talune aree, è divenuta ormai cronica. Spesso le filiali vengono lasciate “sotto organico” e coloro che dovrebbero dare risposte ed a cui è demandata l’organizzazione del lavoro, hanno dei tempi di reazione biblici. I colleghi vengono lasciati in balia degli eventi, senza essere adeguatamente formati. Dalle filiali si pretendono risposte immediate, report continui, ma spesso e volentieri quando sono le filiali a segnalare le criticità le risposte non arrivano ed i problemi vengono banalizzati.
La valutazione della prestazione, in questo contesto, poteva essere una buona occasione per avere un confronto costruttivo con il dipendente, ma ancora una volta si è trasformata in un clamoroso autogol.
Come ogni anno i valutatori non sono stati adeguatamente formati e spesso sono apparsi disorientati: il processo dovrebbe essere caratterizzato dalla trasparenza, requisito che in molti casi è mancato totalmente: non sono stati fatti i colloqui preventivi, non c’è stato un momento intermedio di confronto ed in parecchi casi è mancato anche il colloquio finale. Il risultato è che il processo non costituisce uno stimolo ma è spesso fonte di demotivazione.
Vorremmo tanto che questa fosse solo una parentesi negativa in attesa di una svolta positiva, una svolta che ci consenta di lavorare in una banca che ponga maggior attenzione al clima aziendale, che sia più attenta a motivare e a far rendere al meglio la risorsa più importante: i propri dipendenti.