Non ci sono troppi lavoratori bancari semmai ci sono troppi giovani disoccupati. Avremmo preferito ascoltare dalle parole del Presidente del Consiglio una preoccupazione per i posti di lavoro che mancano e che non si riesce a creare, piuttosto che una previsione su quelli che nel prossimo futuro verranno meno ai bancari.
Avremmo anche preferito sentirgli raccontare delle opportunità di un lavoro buono, stabile e ben retribuito che si stanno costruendo per i nostri giovani, anziché vederlo sorridere nel liquidare con una battuta il fatto che “non sentiremo più la zia dire: “Vai a lavorare in banca, che ti sistemi!””
È paradossale che il Presidente del Consiglio, anziché accettare il confronto propostogli quasi tre mesi fa da queste Organizzazioni Sindacali per riformare insieme il sistema bancario e renderlo più prossimo agli interessi del Paese, si compiaccia nell’annunciare che trecentomila posti di lavoro dovranno diminuire e comunque essere di peggiore qualità rispetto al passato, quasi a voler cavalcare mediaticamente la “caccia al bancario” iniziata da qualche mese e portata avanti, anche da tanta parte della politica, per cercare di addossare ai lavoratori le responsabilità di guasti evidentemente attribuibili ad altri.
Noi crediamo che i bancari di questo Paese, e i sindacati che li rappresentano, abbiano negli anni abbondantemente dimostrato capacità di analisi e di previsione, disponibilità al confronto ed al sacrificio, lungimiranza e responsabilità sociale: abbiamo negoziato costantemente riduzioni del costo del lavoro nelle aziende in difficoltà; abbiamo favorito, con la creazione del fondo esuberi finanziato dal sistema bancario e dai lavoratori, l’uscita di otre 60.000 dipendenti; abbiamo sostenuto, con la solidarietà di tutti i lavoratori, assunzioni stabili per oltre 10.000 giovani; abbiamo creato sistemi di welfare che integrano e supportano le carenze del sistema senza mai utilizzare risorse pubbliche; abbiamo denunciato, quasi sempre inascoltati, le storture di sistemi di collocamento dei prodotti finanziari, imposti dai management aziendali, di cui oggi registriamo le conseguenze.
Siamo bancari al servizio del Paese e non siamo banchieri. Ci pare che la nostra storia , anche la più recente, ci legittimi a chiedere nuovamente al Presidente del Consiglio di confrontarsi con noi edi aprire un tavolo con le parti sociali. Ciò sarebbe utile e necessario, prima di esprimere pubblicamente giudizi affrettati, sicuramente non graditi alla categoria, ma, soprattutto, inutili a costruire un “modello di banca”, così come da tempo stiamo sostenendo, al servizio del Paese, delle sue famiglie, del suo sviluppo economico.