Il “Premio di fedeltà”, se non è prevista contrattualmente una sua esplicita esclusione, deve rientrare nella base di calcolo per la determinazione del Trattamento di Fine Rapporto spettante al Lavoratore. Questo, in sostanza, il principio stabilito – con la Sentenza del 20 novembre 2015, n. 23799 – dalla Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro.
“Nello specifico, osservano i Giudici di Cassazione, la somma erogata a titolo di “Premio fedeltà” è computabile nella base di calcolo ai fini della determinazione del TFR, trovando la propria fonte di riferimento sostanziale nella protrazione dell’attività lavorativa per un certo tempo ed essendo lo stesso rigorosamente collegato allo svolgimento del rapporto di lavoro, anche se non alla effettiva prestazione lavorativa.
Inoltre, continuano i Giudici di Cassazione, va evidenziato che se pure fondata la tesi secondo la quale, ai sensi dell’art. 2120, comma 2 del codice civile, la contrattazione collettiva è abilitata a definire liberamente la retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, escludendovi o includendovi qualsiasi voce, tuttavia, quando la contrattazione collettiva non disponga altrimenti si applica, pur con riferimento alle singole voci – in denaro o in natura – erogate a titolo occasionale, la regola della onnicomprensività della retribuzione.
E analogamente ‐ conclude la Suprema Corte ‐ deve ritenersi, quando la contrattazione collettiva non sia chiaramente ed univocamente espressiva della volontà delle parti contraenti a livello nazionale, di escludere una determinata tipologia di emolumento dal computo del TFR.”
Pertanto, la Suprema Corte ‐ rigettando il ricorso ‐ ha ritenuto legittima la pronuncia con la quale i Giudici di secondo grado, confermando la Sentenza di primo grado, avevano accolto la domanda di alcuni Lavoratori proposta nei confronti di una Banca e diretta ad ottenere l’accertamento del loro diritto al computo nel TFR del “Premio di fedeltà”, previsto dalla contrattazione integrativa aziendale.