UNA VERGOGNA NAZIONALE – Enzo Parentela
Lo scorso dicembre è stato funestato da un terribile incidente sul lavoro che è costato la vita a sette operai, morti a causa di un improvviso, quanto prevedibile, incendio. La tragedia è accaduta in una acciaieria di Torino, la Thyssen Krupp.
Ancora una volta le cronache hanno dovuto registrare la terribile morte di alcuni lavoratori sul luogo di lavoro. A questo caso, i media nazionali hanno dato notevole rilievo, fatto abbastanza insolito, se si pensa che in Italia, le vittime di incidenti sul lavoro sono tutt’altro che eccezionali, dato che, di continuo, si registrano infortuni e disgrazie, con una media nazionale stimata intorno ai 4 morti sul lavoro al giorno. L’insistenza con cui giornali e televisione hanno riproposto, per settimane, l’incidente della acciaieria Thyssen Krupp, potrebbe trarre origine da un senso di colpa collettivo, di fronte alla indifferenza che spesso accompagna simili eventi.
Quante volte leggiamo sulla cronaca di un giornale dell’operaio caduto dall’impalcatura, del manovale schiacciato dalla betoniera, del lavoratore perito per il crollo di un muro o come purtroppo è recentemente avvenuto a Porto Marghera, di due operai morti per asfissia nella stiva di una nave. Catalogati, dai più, come semplici eventi di cronaca, ne veniamo a conoscenza, senza nemmeno registrarli nella nostra memoria. Al cospetto di tali avvenimenti, spesso siamo osservatori neutrali e distratti e siamo portati a pensare che gli infortuni sul lavoro, siano solo la conseguenza di imperizia da parte di chi sta operando o magari la conseguenza di un destino tragico e amaro. Alla Thyssen Krupp, l’incendio è esploso violento ed improvviso e non ha dato scampo ai lavoratori.
Una tragedia, una fatalità, una disgrazia, certamente. Ma poteva essere evitata?
Molti media hanno posto l’accento sul problema della sicurezza sul lavoro e su come l’incidente di Torino sia potuto accadere.
Quando avvengono eventi così tragici e dolorosi che distruggono vite umane e sconvolgono l’esistenza di intere famiglie è un dovere chiedersi il perché. Il nostro Paese è dotato di una legislazione tra le più avanzate in tema di sicurezza sul lavoro.
La Legge 626/94, recentemente arricchita dalla Legge 3 agosto 2007 numero 123, detta regole precise e molto rigide in tema di sicurezza sul lavoro. Basterebbe che nelle Aziende si rispettasse, anche in parte, quanto stabilito dalla normativa, per scongiurare buona parte degli infortuni sul lavoro. Dai primi riscontri, infatti, e dalle testimonianze dei lavoratori sopravvissuti alla tragedia di Torino sembrerebbe che gli estintori fossero scarichi e i tubi di erogazione degli idranti antincendio addirittura forati.
La competizione tra le imprese, la necessità di aumentare i ritmi della produzione, la concorrenza con Aziende che producono in Paesi esteri dove le regole non esistono affatto, inducono, talvolta, le Aziende a sacrificare, per contenere i costi, le esigenze di sicurezza ritenute superflue ai fini del ciclo produttivo. È giusto che ci siano Aziende, operanti in Italia, che per risparmiare sui costi non osservino le norme di sicurezza? La risposta è negli oltre mille morti sul lavoro in Italia, nel 2007, che insieme a qualche centinaio di migliaio di infortuni e di invalidità permanenti, dimostrano quanto siano urgenti controlli più diffusi e severi sull’effettiva l’applicazione delle norme di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Nessuna normativa può essere ritenuta valida ed efficace se, nei fatti, rimane poi non attuata. Visto che il nostro Paese è dotato di una legislazione moderna e in linea con gli standard europei in tema di sicurezza sul lavoro è tempo che, a distanza di quasi quindici anni dal varo della 626, si pensi, seriamente, a renderla operativa nella pratica e non soltanto in teoria, magari con un sostegno economico alle imprese che investono in sicurezza ma anche con una forte e decisa azione di monitoraggio sui differenti tipi di contratti di lavoro, sull’emersione del sommerso, con gravi sanzioni per il lavoro in nero e senza garanzie (tra le quali una formazione minima) per meglio sostenere le responsabilità del lavoratore, rispettare il suo impegno e non vanificarlo, arginando così l’emorragia di morti bianche (definizione encomiabile, tanto elusiva quanto drammatica). Credere che non investire più fondi sulla sicurezza possa quantificarsi in un sensibile risparmio deve essere considerato un’azione delinquenziale. Demandare, deliberatamente, alle Assicurazioni i costi di assistenza sanitaria e di spesa di sostegno alle famiglie da parte delle Aziende deve essere considerata una strategia economica di rilevanza penale. Anche perché, le stesse Aziende – in Germania, per esempio, – si comportano in modo totalmente diverso, investendo copiosamente sulla sicurezza, incalzati da meticolosi controlli, seguiti da pesantissime sanzioni in caso di inadempienze.
Non è più rinviabile, nel nostro Paese, l’esigenza di garantire un lavoro sicuro, dignitoso e basato su criteri di equità. Quegli oltre mille morti sul lavoro, del 2007, non sono solo un lutto nazionale, sono anche una vergogna nazionale.