IL BURKA NON PARLA SOLO ARABO
Alba Coscarella
Definire maschilista il tempo che stiamo vivendo è, comunque, usare un eufemismo. Le angherie alle quali – quotidianamente – in tutto il mondo, sono sottoposte le donne non si contano più. Certo, alcune sono eclatanti e siamo tutti pronti a reagire quando vengono commesse e, soprattutto, quando noi ne veniamo a conoscenza. Già, perché questo è il primo problema: un’angheria non pubblicizzata, non esiste! Ci indigniamo, dunque, per quell’unico caso di lapidazione di cui veniamo a conoscenza, mentre la tradizione della lapidazione, in quanto tale, interessa e indigna molto meno.
Sfiliamo compatti per quel caso di violenza e omicidio di cui i media – spesso a corto di notizie – parlano in continuazione, mentre la violenza giornaliera, subita tra le mura domestiche – magari per mano del padre o del compagno di vita – quella non solo non fa notizia, ma spesso viene ulteriormente umiliata, tentando di trovare giustificazioni al fatto in sé. Si finisce, troppo di frequente, così, per colpevolizzare la donna, anche se degente in ospedale a seguito delle violenze o degli abusi subiti.
Quante volte abbiamo dovuto ascoltare frasi del tipo: “Un po’ se l’è cercata…”, “Certo veste in maniera alquanto provocante…”. “ Ma perché, le donne devono uscire da sole la sera invece di stare sicure in casa?”. Al danno, dunque, anche la beffa! La violenza, però, non è soltanto fisica. Altrettanto grave ed altrettanto ignorata è la violenza psicologica. Sul lavoro le donne subiscono una decurtazione di quasi il 30% della retribuzione rispetto agli uomini a parità di condizioni. Spesso vengono relegate in ruoli oscuri e mortificanti, solo perché si sono macchiate “del reato” di maternità, sempre che non siano state costrette a firmare una lettera di licenziamento in bianco che il datore di lavoro si impegna ad usare in caso di gestazione. Praticare il sesso va bene – anche perché interessa almeno al 50% i maschietti – ma la contraccezione deve essere praticata rigorosamente dalle donne perché si sa… i maschietti sono distratti, non sono affidabili e non è giusto che paghino tutta la vita qualche ora di distrazione. Nel migliore dei casi, se una donna si fa valere, i termini usati per valorizzare i suoi successi sono di origine maschile: “Quella donna ha le palle…” o di origine indirettamente maschile: “Ci sa fare, specialmente col direttore…”.
C’è, poi, il tipo di riconoscimento con sottofondo maschile: “È una virago, quasi certamente omosessuale, è brutta, nessun uomo la vuole e quindi si rifà sul lavoro…”. La verità, cari signori, spesso è destabilizzante! Non abbiamo le palle, non ci servono – almeno sul lavoro – e non siamo le amanti di nessuno che non ci intrighi nel privato; non siamo lesbiche o se lo siamo questo appartiene alla nostra sfera più intima. Siamo donne e basta. Siamo diverse dagli uomini, non solo geneticamente; non abbiamo l’ansia da prestazione o il complesso di superiorità. No, niente di tutto questo, spesso siamo solo migliori. Non sarà la violenza di qualche “macho” frustrato (tanti, in verità) a convincerci del contrario e, comunque, a fermarci.