Riccardo sassone
Le ultime elezioni, del 13 e 14 aprile 2008, hanno delineato un nuovo scenario politico, dopo 60 anni di Repubblica.
Il primo risultato è stato la scomparsa della rappresentatività parlamentare di una serie di forze politiche legate alla sinistra “antagonista”; il secondo è stato il tentativo, non riuscito, di ricreare un “centro”, espressione di vecchie logiche di potere, già viste nella prima Repubblica.
Nei giorni successivi alle elezioni si è potuto analizzare il senso del voto espresso, con l’indicazione di uno spostamento trasversale dei voti dalla sinistra anche estrema, a formazioni politiche dello schieramento opposto – quali la Lega, ad esempio – sintomo questo di un diffuso malcontento nell’elettorato di sinistra.
Certamente, tra i diversi motivi, vi è stata, a volte, la latitanza delle forze della sinistra nel corso di vertenze sindacali sui luoghi di lavoro. Nello specifico, in alcune grandi aziende che negli ultimi anni hanno dovuto subire decentramenti, scorpori e riduzioni di personale, probabilmente è mancato il supporto ai lavoratori da parte di chi, normalmente, li aveva sostenuti in momenti di difficoltà e di lotta.
La presenza, inoltre, di varie formazioni politiche della sinistra radicale nel precedente Governo, non ha portato alla soluzione di alcune rivendicazioni quali: le riforme dei contratti per i lavoratori precari, recupero del potere d’acquisto da parte dei lavoratori, adeguamento delle pensioni al costo della vita, tematiche queste più vicine al loro abituale elettorato. Le situazioni descritte possono avere contribuito al risultato delle ultime elezioni, dove è apparso chiaro che non si può essere contemporaneamente forza di lotta e di governo. Partendo dalla situazione politica italiana, appena riscontrata, si può proporre un collegamento con la rappresentatività sindacale.
L’auspicio è che quanto riscontrato negli ultimi mesi nel panorama parlamentare non debba ripetersi in ambito sindacale, considerando l’attuale periodo che stiamo vivendo e le difficoltà che stanno attraversando le diverse classi sociali. Forse gli anni della concertazione a tutti i costi non è più attuale. Anche se, ripensando agli anni settanta che, pure se caratterizzati da momenti di grandi rivendicazioni politiche e sindacali, non pare abbiano trascinato l’Italia alla bancarotta. Anzi! Sono stati anni unici, sia per lo sviluppo delle nostre industrie – e, parallelamente, per il riconoscimento della capacità dei lavoratori e delle loro retribuzioni – innescando un periodo di sviluppo nazionale memorabile.
Concludo, nella speranza che i recenti errori politici, sopra descritti, non si ripetano nel mondo sindacale. Il rischio sarebbe una pericolosa diminuzione nella partecipazione, per quella che dovrebbe essere tra le più rilevanti delle attività democratiche.