QUANDO LA FLESSIBILITÀ SI SPEZZA
Enzo Parentela
UDITE, UDITE, cittadini dell’Europa, lavoratori europei, bancari, metalmeccanici, poliziotti, baristi, operai, ferrovieri, aeroportuali, ospedalieri ecc, i Rappresentanti della sovrana Unione europea, che raggruppa tutte le nobili discendenze delle antiche e gloriose popolazioni del vecchio continente, hanno approvato, nella città di Lussemburgo, dopo discussioni durate anni, la nuova direttiva sull’orario di lavoro.
Il limite massimo resta fissato a 48 ore settimanali ma – qui viene il bello – potrà arrivare anche a 60 o, addirittura, a 65 ore settimanali, con il consenso del lavoratore!
La nobile Europa non poteva restare indifferente di fronte all’avanzare del made in China.
È risaputo che in quella nazione, i lavoratori, sovente, hanno degli orari di lavoro leggermente diversi dai nostri.
Avete presente gli ottomila guerrieri di terracotta, armati di tutto punto, che l’imperatore cinese “Qin Shin Huang” fece realizzare a protezione della propria tomba? Per costruirli pare siano stati impiegati, per dieci anni, “settecentomila” operai. Gli ottomila guerrieri, abilmente e finemente cesellati – non a caso definiti l’ottava meraviglia del mondo – ma soprattutto i turni di lavoro degli operai che hanno permesso la loro realizzazione, devono certamente avere ispirato la nuova direttiva europea sull’orario di lavoro.
Meno male che, per noi europei, il prolungamento dell’orario di lavoro sarà una scelta volontaria, a differenza degli operai dell’antica Cina. Ve lo immaginate quanti lavoratori precari, interinali e a tempo determinato si potranno permettere il lusso di rifiutare l’opportunità di un “lavoretto” di 60 – 65 ore settimanali? Proviamo a pensare come potrà essere strutturata la futura settimana lavorativa che l’Unione europea ci sta propinando.
Intanto, dobbiamo ipotizzare una distribuzione su sei giorni lavorativi. Su cinque, forse, l’orario potrebbe apparire un po’ pesantuccio. L’ideale sarebbe di distribuirlo su sette giorni ma, purtroppo, c’è il Papa che insiste sempre sulla sacralità della domenica e, dunque, la settimana lavorativa deve restare confinata nei canonici sei giorni.
Facciamo, quindi, il caso di un orario di 60 ore, cinque ore, magari, le lasciamo per lo straordinario. Dalle otto alle 14 le prime sei ore, poi un’oretta di pausa per il pranzo che, ahimé, è improcrastinabile, e poi le ultime quattro ore dalle 15 alle 19. I conti tornano 10 x 6 = 60. Se poi consideriamo i tempi di percorrenza per raggiungere il luogo di lavoro, che spesso sono consistenti, diciamo un’ora al mattino e una alla sera, restano circa dodici ore libere, sicuramente molto di più degli antichi colleghi cinesi che lavoravano ai tempi delle dinastie imperiali.
Dodici ore rappresentano, comunque, un bel pacchetto di tempo libero da dedicare allo svago, alla famiglia, allo shopping; basterà semplicemente ridurre le ore dedicate al sonno, anche perché dormire troppo, è risaputo, non giova alla salute.
Accanto al possibile prolungamento dell’orario di lavoro, sui giornali è comparsa, più o meno nello stesso periodo, un’altra notizia, apparentemente positiva, ma che, nei risvolti pratici, appare soltanto come un ottimo sistema per friggere aria.
Le Organizzazioni di rappresentanza delle imprese italiane e i sindacati confederali hanno sottoscritto un accordo di recepimento dell’accordo quadro europeo sullo “Stress da lavoro”, in base al quale il datore di lavoro sarà tenuto a valutare i rischi collegati allo “stress lavoro-correlato”, ai quali possono essere esposti i lavoratori (qui non so se ridere o piangere!).
Poveri lavoratori della cara, gloriosa e vecchia Europa.