GLOBALIZZAZIONE: UN DEMONE DEL TERZO MILLENNIO
Nino Lentini
È trascorso quasi un decennio da quando la globalizzazione ha uniformato le attività di tutti i paesi del mondo. C’era stata prospettata come l’unico modo per superare qualsiasi crisi (economica, sociale, ambientale, ecc.) e, soprattutto, come sorgente di nuova ricchezza per ogni settore. Il tasso di disoccupazione sarebbe dovuto scendere in modo considerevole, quasi fino a zero. Anche il terzo mondo avrebbe dovuto trarne beneficio. La nuova economia avrebbe permesso, finalmente, di costruire case, scuole, chiese e, soprattutto, avrebbe consentito di portare l’acqua e tutti quei beni primari ed essenziali che, purtroppo, in molti paesi mancano ancora. I media, specialmente nei primi anni, continuavano incessantemente a raccontare di tutte quelle aziende che diventavano sempre più ricche e potenti con bilanci da capogiro; nonché di enormi guadagni di pochi uomini, con tanto di staff a seguito, che avevano la fortuna di trovarsi al vertice di queste aziende. Tutto ciò avrebbe dovuto significare, secondo le premesse, benessere per tutti. La realtà è stata, però, ben diversa! Oggi, appunto, a distanza di un decennio, possiamo tirare le somme e dire, senza paura di poter essere smentiti da nessuno, che la globalizzazione, così come l’abbiamo vissuta, non è stato altro che il mezzo utile per fare la ricchezza dei pochi da una parte e la miseria dei molti, dall’altra. Guardando indietro non vediamo altro che macerie. Il mondo del lavoro piange perché le grandi trasformazioni avvenute anziché portare maggiore sicurezza di lavoro per quelli che vivevano nel precariato, vede anche quei lavoratori, garantiti da contratti a tempo indeterminato, non più sicuri di quello che si prospettava come il proprio futuro. Nel frattempo, la disoccupazione domina ed i pochi “fortunati” che hanno potuto affacciarsi nel mondo del lavoro sono stati chiamati con contratti a tempo determinato, con contratti interinali e… tutto ciò che di più insicuro contrattualmente si possa concepire. Il precariato, insomma, dilaga. Le molte attività avviate nei paesi in via di sviluppo, anziché servire anche ad aiutare la gente del posto, portando loro ricchezza e cultura del presente, sono servite, esclusivamente, ad assicurare maggior entrate nelle tasche dei “soliti” pochi. Il fine ultimo di spostare le industrie presso i paesi meno sviluppati, quindi, si è dimostrato essere, semplicemente, quello di ottenere manodopera a bassi costi, per circa 12 ore giornaliere, senza nessuna tutela e, soprattutto, senza alcuna rivendicazione sindacale. Altro che nuovo benessere per i più poveri! Non erano certamente queste le premesse e le promesse della globalizzazione. Ma forse nessuno ha mai creduto veramente alle sbandierate parole, volate via con la prima brezza, se non coloro che le hanno pronunciate, con la consapevolezza che ciò sarebbe servito solo ad accrescere i loro già fiorenti patrimoni. Ci mancava poi la crisi finanziaria che ha investito tutto il mondo a giustificazione delle malefatte! Sì, perché di malefatte si è trattato. In fondo, l’unico problema per i grandi manager è di dover incassare, forse, qualcosa in meno rispetto ai lauti ed ingiustificati guadagni avuti fino ad ora. Certo, non sono preoccupati se chi ci sta rimettendo, davvero tanto, sono i lavoratori. Siamo sull’orlo di un precipizio. Ogni giorno vedendo la televisione, storie che fino ad oggi avevamo visto solo nei film, diventano racconti di vita vissuta. Gente chiamata a prendere le proprie cose ed a portarle via negli scatoloni di cartone, perché gli è stato comunicato il licenziamento, senza preavviso. Inoltre, c’è la marea di tutti gli altri lavoratori, soprattutto nel privato ma anche nel pubblico, precari e non, che con lo stipendio che gli viene riconosciuto non avranno mai la possibilità di potersi creare una famiglia. Non sarebbe forse giusto dare a tutti la possibilità di crescere in questa nostra società con pari dignità? Pari dignità non pari ricchezza. Di avere tutti la possibilità di costruirsi una casa, con un mutuo – naturalmente – di vedere crescere i propri figli con la speranza di un futuro, come hanno fatto i nostri padri con noi, orgogliosi anche loro di avere avuto dei genitori che con il proprio sudore, senza rubare niente a nessuno, hanno dato loro tranquillità e sicurezza. Si chiede forse troppo se si pretende un posto nella società, potendo camminare a testa alta, orgogliosi di avere contribuito, nel proprio piccolo, alla sua crescita? Quando l’avidità di ricchezza lascerà il posto al sentimento di rispetto e fratellanza, solo allora, si potrà pensare di riuscire a costruire un mondo migliore per tutti, pur con le oggettive diversità individuali. Forse, però, quel giorno non arriverà mai!