IL TRACOLLO DEL LIBERISMO
Enzo Parentela
Lo scorso anno Freddie Mac e Fannie Mae sono stati nazionalizzati.
Non stiamo parlando di alcuni personaggi dei Simpson, ma di due colossi del sistema finanziario dei mutui americani. Nel loro caso, è intervenuto il Governo che con una operazione, a sorpresa, ha nazionalizzato le due importanti società finanziarie, nel tentativo di arginare una crisi sui mercati mondiali, che si configurava peggiore di quella in atto.
Nella speranza che l’effetto dei mutui subprime, già artefici di danni spaventosi, sia in fase di conclusione e non debba riservarci, ancora, impreviste conseguenze devastanti. Si è parlato molto, negli ultimi tempi, del crollo di alcune importanti istituzioni creditizie internazionali, come nel caso di Lehman Brothers che, da quarta Banca d’affari più importante del mondo, è divenuta simbolo – anche per immagine – del fallimento del mercato liberista. Si è trattato di un crollo senza salvataggi, né ad opera del Governo, tanto meno per intervento di altre Banche (Merryl Linch, per esempio, altra importante Banca d’affari americana, si è salvata grazie all’intervento di Bank of America che l’ha acquistata per 50 miliardi di dollari). Lehman Brothers, dopo la rinuncia di altre Banche che avrebbero dovuto acquisirla, ha dovuto dichiarare bancarotta.
I Guru della finanza, i banchieri d’assalto e i cervelli rampanti di Wall Street, abituati a ricevere compensi supermilionari, hanno dato forfait. Con un effetto domino, tutta l’architettura costruita attorno al rendimento su mutui e finanziamenti, concessi a condizioni favorevoli – con l’illusione che la globalizzazione avrebbe fermato l’inflazione e quindi la crescita dei tassi – ha rivelato la sua enorme fragilità. Inevitabilmente, la crisi scoppiata negli USA si è propagata nel resto del mondo, contagiando anche il nostro Paese, per quanto, al momento, con effetti apparentemente più contenuti.
AIG, gigante delle Assicurazioni, è stata salvata da un altro intervento statale da 85 miliardi di dollari. D’altra parte, il fallimento di AIG avrebbe avuto effetti disastrosi, se si pensa che rappresenta il numero uno per le polizze assicurative Usa e la prima fornitrice di rendite a tasso fisso, un prodotto su cui si basa il sistema previdenziale di milioni di pensionati americani. AIG, inoltre, opera anche come banca d’affari e si era molto esposta proprio nei prodotti strutturati garantiti da mutui, il vero tallone d’Achille dell’intero sistema finanziario.
L’aumento esponenziale delle rate di rimborso dei mutui, aggravata dalla diffusione di un modello occupazionale basato sulla precarietà e sulla libertà di licenziamento (che si traduce in milioni di cittadini americani disoccupati in più, nel giro di un paio d’anni) ha avuto pesanti ripercussioni sulla stabilità economica del sistema creditizio, con un enorme effetto a catena che nessun finanziere o economista aveva previsto.
Lo scenario che si è venuto a configurare è tremendo: i lavoratori, soprattutto quelli precari, non erano più in grado di pagare rate il cui importo era divenuto insostenibile (ma sono insolventi anche ora con i tassi della Fed quasi a zero); le Banche, che si erano esposte con i finanziamenti, si ritrovano con un pugno di mosche e, quel che è peggio, vedono sfumare la fiducia di risparmiatori ed investitori, che si affrettano a ritirare depositi e ad annullare i titoli sottoscritti. Mentre i Governi dei diversi Stati stanno cercando, con ogni mezzo, di contenere la crisi, le conseguenze sono disastrose per migliaia e migliaia di persone.
Non a caso negli USA la disoccupazione ha raggiunto i livelli del 1945. Il Governo americano – alla faccia del liberismo puro – ha varato un formidabile piano di assistenza finanziario per le proprie Banche, il cui costo è stato giudicato uguale se non superiore a quello della guerra in Iraq.
In Europa si sono registrati interventi statali a favore delle Banche in crisi e, anche in Italia, è stato annunciato un piano di sostegno a favore delle Banche che ne rilevassero la necessità. A guardare i bilanci delle nostre Banche, però, dovremmo essere sereni, sono tutte in attivo e ogni semestre dichiarano utili. Del resto, come potrebbe essere diversamente? Sono anni, ormai, che grazie alle fusioni, aggregazioni, ristrutturazioni e così via, le Aziende di credito ottengono, in Italia, un guadagno determinato soprattutto dai risparmi di costi. Riduzione di personale, accentramento di uffici, ottimizzazione e accentramento delle procedure informatiche, si sono rivelate alla fine un buon sistema per aumentare gli utili.
Poco importa, poi, se sono emersi gli esuberi e si sono persi migliaia di posti di lavoro. Attenzione, però, l’esempio statunitense è allarmante!
I processi di riorganizzazione e di fusione tra Aziende di credito possono avere rappresentato una ghiotta occasione per manager ambiziosi e avidi, desiderosi solo di accrescere la propria sete di ricchezza. Se così è stato, c’è poco da essere ottimisti, anche in casa nostra, dove le grandi Società creditizie potrebbero rivelarsi dei colossi dai piedi di argilla. Non è un caso che Lehman Brothers, fino a poco prima del fallimento, risultava in utile, anzi dichiarava un guadagno di 887 milioni di dollari.
L’’insegnamento da trarre, dopo le ultime scabrose vicende della finanza mondiale, è che la solidità di una Azienda non si misura dal risultato di beve periodo e tantomeno dagli esorbitanti compensi erogati ad azionisti e management, quanto nella capacità di investire per il futuro, per produrre ricchezza e stabilità, in un contesto più etico e solidale.