BULLISMO: SILENZI E POCA ATTENZIONE
Lucia Ranieri
Negli ultimi tempi, scorrendo le cronache dei vari notiziari, mi ha molto colpito la notizia del suicidio di un ragazzo torinese di sedici anni perché vittima di azioni di scherno da parte dei bulli della sua scuola.
Mi chiedo perché si parla tanto, a tutti i livelli, e non si agisce di conseguenza? Ma chi è il bullo? Un tempo il bullo era un soggetto socialmente svantaggiato, che viveva in quartieri degradati e in seno a famiglie con poche risorse sia materiali che culturali.
Fisicamente era il ragazzo più alto e più forte ma anche un po’ottuso.
Oggi, invece il bullo, spesso, presenta elevata abilità sociale ed intellettiva e proviene da famiglie “per bene”. A scuola si annoia, la filosofia o la storia non lo interessano.
Ma non è detto che sia uno stupido. Dimostra un tipo di intelligenza meno astratta ma più pratica, e risulta spesso dotato in attività manuali, come per esempio laboratori di applicazioni tecniche.
Non bisogna però confondere una scazzottata, sia pure deprecabile, con la violenza reiterata.
E’ importante cogliere i segnali di aggressività, allarmarsi se un ragazzo va male a scuola.
Si sente continuamente dire: niente allarmismi e più chiarezza.
Il bullismo che la cronaca quotidiana mette in prima pagina, non è né un fenomeno nuovo, né così dilagante come sembra.
Indubbiamente esiste ed è diffuso, ma che cosa sia e quali siano le sue dimensioni reali non è molto chiaro.
Attualmente, a mio avviso, si fa un uso improprio del termine “ bullismo”, qualsiasi tipo di violenza che coinvolge bambini e adolescenti viene definita tale, ma il vero bullismo è una altra cosa, è una forma di persecuzione ossessiva ai danni di un coetaneo più indifeso.
Quindi, ciò che caratterizza un’azione di bullismo e la differenza da un fatto di cronaca nera o da una semplice lite fra coetanei è la ripetizione nel tempo della prepotenza.
Non solo ci deve essere anche l’intenzionalità a voler ferire od offendere deliberatamente qualcuno, ma deve esserci anche un disequilibrio di potere tra vittima e aggressore.
Puntualizzare certi aspetti del bullismo non significa certo voler sminuire il fenomeno, ma cercare di comprenderlo, riconoscerlo e combatterlo con gli strumenti giusti.
Sarebbe, per esempio, del tutto improprio definire atto di bullismo una violenza sessuale da parte di un gruppo di adolescenti, perché resta di un gesto criminale, perseguito dalla giustizia.
Un aspetto che mi va di sottolineare è il nuovo fenomeno del bullismo al femminile, anche se meno appariscente di quello maschile, che può avere, però, conseguenze più dannose a lungo termine.
Infatti, si tratta prevalentemente di bullismo indiretto, cioè di carattere psicologico. Ma come fa un genitore ad accorgersi se il proprio figlio è vittima di atti di bullismo?
Gli esperti ci dicono che, in genere, i primi sintomi che la “vittima” presenta è il rifiuto di andare a scuola con sintomi di malessere inesistenti, a volte, soprattutto nelle ragazze, con malattie fisiche vere e proprie.
Che si tratti, comunque, di bullo o di vittima c`è un elemento che unisce questi ragazzi rendendoli protagonisti attivi o passivi del bullismo: il sentimento comune di sentirsi ignorati o trascurati.
La violenza è un modo di dichiarare la propria esistenza. Nell’aggressione c’è azione, eccitazione, vita. I ragazzi che subiscono atti di bullismo dichiarano – a volte – che è meglio provare dolore che non esistere.
Dunque, una famiglia attenta e una scuola capace di dialogare con le famiglie, richiamando l’attenzione sull’argomento, potrebbe essere la ricetta giusta per evitare che un ragazzo si senta abbandonato e in balia dei suoi impulsi aggressivi.
Non le proibizioni varie, ma un dialogo aperto e sereno tra genitori, scuola e ragazzi potrebbe essere una soluzione del problema. Non rassegnarsi mai agli eventi, ma continuare sempre a lottare.